È una bellissima giornata di sole in aprile a Stoccolma. Ingela mi aspetta seduta ai tavoli all’aperto del ristorante e si gode il magnifico panorama della città. Il cielo è terso, si sta bene anche se tira un po’ di vento. Ci guardiamo e consideriamo l’idea di mangiare fuori. Lei è svedese e io vivo qui da quasi 16 anni, quindi sono praticamente diventato un vichingo anch’io. Dopo cinque minuti iniziamo l’intervista… all’interno del locale.

Ingela ha fatto talmente tante cose durante la sua carriera professionale che è difficile scegliere da dove cominciare. Ha fatto l’attrice di teatro in svedese, inglese e italiano, ha recitato in film per il cinema e per la tv (premiata anche come migliore attrice non protagonista al Madrid International Film Festival), ha prestato la sua voce a videogiochi e pubblicità, ha lavorato come voice coach per compagnie teatrali (recentemente con “Sweeney Todd” e “En midsommarnattsdröm” di Britten alla Kungliga Operan di Stoccolma) e per aziende di management consulting. Prima di incontrarla ho ripassato il suo curriculum sul suo sito[1] e mi è venuto il capogiro. Tutto questo talento mi lascia senza parole.

— Quando penso alle mie carriere, — Ingela mi salva dall’impasse con un’interessante metafora in un italiano perfetto — le immagino come fossero due cappelli: uno è quello che indosso quando faccio l’attrice, l’altro è quello che porto come voice coach.

— Perché hai scelto di fare l’attrice?

— Non c’è un momento specifico della mia vita nel quale ho scelto di fare l’attrice. È qualcosa che ho sempre avuto dentro di me. Fin da bambina giocavo a far finta di essere in televisione, parlavo e recitavo con la lampada in faccia creando i miei monologhi e dialoghi immaginari. Le influenze della mia famiglia mi hanno anche aiutato molto. Da una parte i miei genitori mi hanno dato una mente organizzata e mi hanno fatto rimanere con i piedi per terra. Dall’altra le connessioni con il mondo dello spettacolo del resto della mia famiglia hanno alimentato la mia sete di arte: mia zia infatti faceva la ballerina, mio zio il violinista e due delle mie cugine ora sono diventate una cantante lirica e l’altra una regista teatrale. Sono molto grata di entrambi questi influssi.

— Come si è evoluta la tua carriera nel corso degli anni?

— Ho studiato e lavorato molto all’estero, soprattutto a Londra. La mia esperienza inglese, che è ancora viva, mi ha formato moltissimo sia come professionista sia come persona, ma non è facile inserirsi nel panorama artistico svedese per chi non ha studiato alla Teaterhögskolan. Dopo qualche progetto andato in porto nella seconda metà degli anni 2000 al Dramaten di Stoccolma, a sorpresa le mie opportunità sembravano svanite. Negli ultimi cinque anni però ho visto il frutto di quello che ho seminato nel tempo e la mia carriera ha avuto una svolta positiva. Un po’ alla volta infatti mi sono ritagliata sempre più spazio in diversi lavori e progetti svedesi e internazionali.

— Qual è stata la svolta?

— Principalmente due cose. Una è stata la grande influenza della mia insegnante londinese Patsy Rodenburg, vocal coach del National Theater, dalla quale ho imparato molto come attrice e come insegnante. Grazie a lei ho acquistato molta fiducia in me stessa e questo mi ha permesso di essere più consapevole dei miei pregi e anche dei miei difetti. L’altra svolta è avvenuta dieci anni fa quando ho deciso di indossare anche l’altro cappello, cioè la scelta di lavorare anche come voice coach. Questo mi ha aperto strade anche al di fuori del mondo dello spettacolo, per esempio come gestione della voce per manager che mi ha permesso di lavorare in tutto il mondo.

— Ma senti… — sono affascinato dal suo percorso ed esito un istante prima di farle questa domanda — dubbi ne hai mai avuti?

— Certo, sempre avuti. — tiro un sospiro di sollievo al pensiero che anche Ingela è umana, poi lei continua — Ogni giorno, sia sulla scelta della carriera artistica sia sulle mie capacità attoriali e pedagogiche. Penso che i dubbi siano inevitabili ma allo stesso costruttivi perché che mi spingono fuori dalla mia comfort zone, mi aiutano a cercare quello che voglio veramente e a migliorarmi senza pensare mai di essere arrivata. Sono i dubbi che mi portano a scegliere questa carriera ogni giorno. Strano a dirsi, ma i dubbi servono.

— Posso portarteli via?

No, non è una mia domanda, è la cameriera che chiede se abbiamo finito di mangiare, ci porta via i piatti e ci regala un momento di riflessione durante l’intervista.

— Dunque tu sei nata in Svezia, hai studiato e lavorato in Inghilterra per molti anni e hai anche vissuto un anno in Italia a Modena, giusto? Quali differenze hai notato nel fare e vivere la cultura in questi tre paesi?

— Per me Stoccolma è casa, Londra è il cervello e l’Italia… — sorride mentre si prende una pausa scenica — eh, l’Italia sono le viscere. Questo è un po’ lo specchio delle differenze culturali che io ho percepito tra questi paesi. La Svezia è un paese piccolo, forse un po’ chiuso e con la paura di perdere il controllo, ma con una caratteristica che apprezzo molto: non c’è la paura del silenzio. Gli inglesi invece sono più cerebrali e tutto è basato sullo humor, la battuta pronta e il doppio senso… a volte questo può essere soffocante. In Italia c’è più ospitalità e più generosità ma anche più disorganizzazione. Tutto questo ovviamente si manifesta nel modo di comunicare e di fare cultura in questi tre paesi.

— Quindi, se la stessa compagnia teatrale dovesse mettere in piedi lo stesso spettacolo in questi tre paesi, che cosa dovrebbe aspettarsi dal pubblico?

— Il pubblico svedese è più silenzioso, più educato e più attendista. Non vuole perdersi una parola o una sfumatura dello spettacolo. Si scalda col tempo: all’inizio è un po’ freddo ma alla fine dà molte soddisfazioni se ha apprezzato lo spettacolo. Il pubblico inglese invece reagisce di più, partecipa di più ed è più esigente. Sembra quasi che voglia essere un passo in avanti rispetto al testo. Il pubblico italiano è spesso più rumoroso e più caloroso. Questo ovviamente trasmette molta energia all’attore che recita ed è una sensazione meravigliosa.

Verissimo. L’ho provato anch’io sul palco, visto che siamo quasi colleghi.e prima che mi trafigga anche con il coltello che tiene in mano e non solo amichevolmente con lo sguardo per l’azzardo della mia ultima affermazione, cambio discorso — Ho come la sensazione che staresti ore a parlare di cultura e di teatro. Purtroppo però devo “Marzullizzarmi” e concludere l’intervista.

Ingela mi guarda un po’ smarrita. Probabilmente non conosce Gigi Marzullo. Io le spiego e chiarisco:

— Si faccia una domanda e si dia una risposta.

— Hm… qual è il mio obiettivo nei prossimi due o tre anni? — ci ha pensato un po’ ma poi sorride e ci prende gusto — Tre cose: trovare un ruolo in una produzione internazionale, preferibilmente un ruolo comico, lavorare a teatro o all’opera come voice coach e… comprare una casa in Italia per le vacanze.

Ingela ha le idee chiare. Beve l’ultimo sorso di caffè dalla tazza e gli occhi vanno al futuro, oltre la finestra del ristorante. È uno sguardo fiero e deciso. Sono sicuro che con il suo bagaglio culturale e professionale e con la sua determinazione raggiungerà questi e anche altri splendidi obiettivi.

 

Roberto Riva
Foto: su concessione di Ingela Lundh

 

[1] https://ingelalundh.com