Bene, ora che mi sono guadagnato l’attenzione delle persone più allupate con questo squallido stratagemma da clickbait, posso affermare con assoluta certezza e con la coscienza pulita che nonostante l’apparenza non ho scritto niente di volgare o di osceno. Quantomeno se ci troviamo in territorio svedese.

Non c’è niente di strano nella parola fika. Suscita spesso ilarità le prime volte che la vedi, ogni tanto imbarazzo quando vengono a trovarti parenti e amici, ma poi ti abitui e diventa un concetto comune della vita di tutti i giorni. Fika è una parola difficilmente traducibile. Non esiste infatti un corrispettivo in italiano o in altre lingue che ne racchiuda a pieno il significato usando una sola parola. La fika è in realtà un concetto, quasi una filosofia, che può essere descritta in mille modi diversi e che varia da situazione a situazione: per alcuni è una semplice pausa tra una mansione, lavorativa o non, e l’altra, per altri è un incontro tra due o più persone e per altri ancora è un momento per sé stessi, quindi da consumare da soli. Spesso si fa con il caffè o con il tè anche se non sono strettamente necessari. Infatti si può fare con altre bevande, senza niente da bere e solo con cose da mangiare, dolce o salato che sia, o addirittura solo con l’acqua e la presenza di un amico.

Come si può intuire c’è chi ovviamente ci guadagna con la fika. Senza dover tornare alle malizie iniziali basta pensare a tutte le industrie che producono caffè e dolciumi e a chi ne ha fatto una catena di bar per sbarcare nel mercato internazionale. C’è anche chi dà la fika gratis (ahia, ma allora è un chiodo fisso!) per attirare pubblico a eventi culturali e sportivi e chi costringe gli altri, più per pressione sociale che per pressione fisica ovviamente, a prendersi la fika, come in molti luoghi di lavoro dove è obbligatoria e a orari e giorni fissi.

Non a caso, infatti, in molti contratti di lavoro si trova spesso un paragrafo dedicato alla fikakultur (attenzione, rileggete bene, non è il culto della fika, anche se ci va vicino), che regola il modo e la frequenza delle pause lavorative.

Nonostante qualche mandrillo possa pensarlo, la parola fika non è la parola più antica al mondo ma ha comunque un’origine lontana nel tempo. Qualche linguista la fa risalire al ‘700, altri invece a inizio ‘900. Per qualcuno proviene dalla regione di Stoccolma, per altri da altre regioni, quali il Dalarna o Västergötland. Il denominatore comune tra le varie teorie è che fika abbia origine dalla parola kaffe (caffè in svedese), o più specificatamente da una forma dialettale kaffi letta seguendo le regole del backslang, un gergo convenzionale ideato nell’Inghilterra Vittoriana in cui le parole vengono pronunciate a ritroso o cambiando l’ordine delle sillabe.

Si può leggere quanto si vuole sulla fika ma non basta fermarsi alla teoria, è meglio buttarsi subito in qualche bel bar svedese per fare pratica.

Viva la fika, dunque. E che Dio la benedika.

Roberto Riva

BIld av Pasi Mämmelä från Pixabay