Italiani in Svezia nei secoli: Grazia Deledda

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GRAZIA DELEDDA (Nuoro 28.9.1871 – Roma 15.8.1936). Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, scrittrice, prima donna italiana vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura del 1926.

Figlia di Giovanni Antonio Deledda, imprenditore e di Francesca Cambosu, casalinga, frequenta le scuole elementari fino alla classe quarta e successivamente viene seguita privatamente dal Professor Pietro Ganga, un docente di lettere italiane, latine e greche.

Comunque bisogna premettere che Grazia Deledda, pur formatasi in seno ad una famiglia abbastanza benestante, la sua vicenda non può essere disgiunta dalla particolare situazione storica della condizione femminile che in quei tempi regnava in tutto il paese, all’indomani dell’Unità d’Italia; anche se, a dire il vero, nell’intera sua opera non è che vi siano frequenti e tanto meno politicamente consapevoli accenni alla questione femminile. Infatti – contrariamente all’altra nota scrittrice piemontese, sua contemporanea, Sibilla Aleramo, che già lotta per i diritti delle donne, tanto da pubblicare nel 1906 “Una Donna”, libro che invita alla rivolta e alla rinascita delle coscienze – Deledda non si impegna mai sul piano del femminismo, anzi nei suoi scritti manifesta una sua sorta di avversione agli stessi termini.

Ma se ci si accosta all’opera della scrittrice sarda ora, a distanza di oltre un secolo dalla sua nascita, dopo l’inevitabile lezione sociologica, non si può non tener conto di certi dati storici. Uno di questi riguarda la formazione scolastica, che solitamente per le donne non va al di là di qualche classe elementare.

Ella, ad esempio, così come anche Sibilla Aleramo, ma in genere come la maggioranza delle bambine della sua epoca, può frequentare, e neanche per tutti e cinque gli anni, le sole scuole elementari. Questo fatto va tenuto presente in quanto entrambe le scrittrici sono accomunate dalla medesima scarsa scolarizzazione, oltre che dall’ostilità intellettuale, da cui è avvolta una donna che decida di dedicarsi alla scrittura, all’arte o alla cultura in genere.

Deledda, comunque, inizia molto presto a scrivere e presto incontra l’approvazione di alcuni letterati come Angelo de Gubernatis e Ruggiero Bonghi. Nel 1895 pubblica il romanzo “Anime Oneste”. Intraprende la collaborazione con diverse riviste, tra le quali ‘La Sardegna’, ‘Piccola Rivista’ e ‘Nuova Antologia’ e ‘Rivista delle Tradizioni Popolari Italiane’. Intanto scrive romanzi e racconti ambientati in Sardegna. Nel 1896 pubblica il romanzo ‘La Via del Male’ con la prefazione di Luigi Capuana e, nell’anno successivo, esce la sua raccolta di poesie ‘Paesaggi Sardi’.

Nel 1899 si trasferisce a Cagliari. Qui conosce Palmiro Madesani, un funzionario del Ministero delle finanze, di cui si innamora e che sposa a Nuoro appena due mesi più tardi. Dopo il matrimonio, suo marito lascia il lavoro per dedicarsi all’attività di suo agente letterario. La coppia si trasferisce a Roma nel 1900 e qui hanno due figli: Franz e Sardus.

Nel 1903 la pubblicazione di ‘Elias Portolu’ la conferma come scrittrice e la avvia ad una fortunata serie di romanzi e opere teatrali, come: ‘Cenere’ del 1904, da cui viene tratto un film interpretato da Eleonora Duse, ‘L’edera’ del 1908, ‘Sino al Confine’ del 1910, ‘Colombi e Sparvieri’ del 1912, ‘Canne al Vento’ del 1913, opera che richiama l’attenzione dell’Accademia di Svezia in seguito alla prima candidatura al Nobel avanzata da Karl August Hagberg, traduttore di Deledda in svedese e alle altre candidature proposte da Carl Bildt, Ambasciatore di Svezia a Roma e Membro dell’Accademia, ‘L’Incendio nell’Oliveto’ del 1918, ‘Il Dio dei Venti’ del 1922.

Grazia Deledda è la prima donna a candidarsi – certamente per provocazione – al Parlamento Italiano; infatti nel marzo del 1909, alla presentazione delle liste per le elezioni alla XXIII Legislatura del Regno d’Italia, ella si propone al Collegio di Nuoro della Camera per il Partito Radicale Italiano, quando ancora in Italia le donne non possono votare e tantomeno essere elette.

Il 10 dicembre 1927 le viene conferito il “Premio Nobel per la Letteratura 1926” con la seguente motivazione: «Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano».

Quindi Grazia Deledda risulta essere una delle primissime donne a vincere il Premio Nobel: la prima italiana in assoluto, la seconda in relazione al Premio per la Letteratura.

In questa circostanza le viene offerto dal Re Gustavo VI Adolfo di Svezia, un banchetto con 250 partecipanti, il più affollato e ricco di quegli anni in quel paese.

Per ritirare questo famoso premio, ella parte da Nuoro in compagnia di suo marito, diretta a Stoccolma passando per Roma; quindi deve affrontare un viaggio molto pesante.

Infatti deve sfidare il freddo della capitale svedese, freddo che ella stessa definisce “simile a quello della mia Nuoro, ma non esattamente la stessa cosa”.

In ogni caso, quando entra nel paese scandinavo, prova una tale emozione straordinaria che la ricompensa di tutta la fatica sopportata. Il paesaggio che appare davanti ai suoi occhi da dietro i finestrini appannati del treno – in una sera invernale che nei paesi del nord Europa cala già nelle prime ore del pomeriggio – è per lei una visione completamente nuova e particolarmente affascinante, molto lontano dal paesaggio della sua Barbagia: una distesa di neve in forte contrasto con i colori degli abeti e delle betulle, al posto delle querce, dei corbezzoli, dei mirti o del lentisco.

Le cronache giornalistiche dell’epoca fotografano con dovizia di particolari tutto il percorso che Deledda compie fino a Stoccolma, come già accennato sopra, accompagnata da suo marito Palmiro Madesani, uomo mite e rassicurante. Sistematisi nello scompartimento di coda, entrambi accanto al finestrino, col passar del tempo, non vedono l’ora che il viaggio si concluda: sono ormai tre giorni che praticamente sono rinchiusi dentro un treno.

Grazia indossa un mantello che le arriva a metà polpaccio, ha il bavero della sua pelliccia rialzato, un cappello a falde strette calato fino alle sopracciglia, una sciarpa, una borsa e calze chiare; ai piedi solide scarpe con stringhe. In mano custodisce gelosamente un mazzo di fiori bianchi e di garofani rossi.

Grazia Deledda, una volta venutasi a trovare nella Grande Sala dei Concerti, non sorride mai per tutta la durata della cerimonia. Ascolta impassibile ogni discorso che viene pronunciato rigorosamente in lingua svedese e lo stesso atteggiamento assume davanti al re quando egli si congratula con lei nel momento della consegna delle medaglie. Inoltre continua ad ascoltare, sempre composta e immobile, quando il professor Henrik Schuck sale sul podio per illustrare la sua opera con una magistrale e approfondita conferenza. Ma l’apoteosi del breve soggiorno a Stoccolma, è senza dubbio il banchetto offerto dal re, in cui fra i presenti c’è anche un’altra grande scrittrice dell’epoca, la svedese Selma Lagerlöf, che Grazia Deledda conosce bene e che stima ormai da diverso tempo.

Di questo suo soggiorno a Stoccolma rimane una lettera scritta ai suoi familiari l’11 dicembre, il giorno dopo la consegna del Nobel, che recita così: «Tante tante cose avrei da scrivere, ma non ho materialmente il tempo né moralmente la voglia. Sono come una foglia in balia del vento, sia pure come una foglia di rosa in balia del vento di maggio! Ieri è stata la grande cerimonia; poi il grande banchetto sul quale io sedevo tra due principi di sangue reale, in mezzo alla corte fantastica di questo regno, composta di donne e uomini bellissimi, colti, amabili, arguti…». Poi, in un altro passaggio, racconta: «Contiamo di partire il 15 perché prima non è possibile e ci fermeremo di nuovo un giorno a Berlino. Qui il tempo, anche se grigio, è calmissimo, invece leggiamo che in Italia imperversano i temporali». Quindi conclude: «Tutti i giornali parlano della mia figura, con fotografie, caricature e interviste».

Una volta ritirato il premio e, dopo aver partecipato al banchetto presso il Grand Hotel, ella vuole visitare l’Ambasciata Italiana nell’isola di Djurgården, un territorio dotato d’uno splendido parco, facente parte della Circoscrizione di Östermalm.

Il Premio Nobel è, per lei, il suggello della sua carriera, un riconoscimento della sua determinazione, temerarietà, preparazione ed intelligenza. Infatti, adesso è dentro una rete di contatti molto importante per quell’epoca, come quello con il sopra menzionato Carl Bildt, Membro dell’Accademia Svedese, nonché ex ambasciatore a Roma, il personaggio più importante fra tutti coloro che l’hanno candidata al prestigioso premio per ben nove volte complessivamente, nell’arco di dieci anni!

Un tumore al seno, purtroppo, a 65 anni, la conduce alla morte. Le sue spoglie vengono tumulate nel Cimitero del Verano a Roma, dove rimangono fino al 1959 quando, su richiesta dei suoi familiari, vengono traslate nella sua città natale, presso la Chiesa della Madonna della Solitudine.

Alberto Macchi
Foto:
Di Nobel Foundation – http://nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/1926/deledda-autobio.html, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6282082

Fonti:

Angelo Pellegrino, Grazia Deledda, [in:] “Dizionario Biografico degli Italiani”, Roma 1988.

Luca Urgu, 1927. La consegna del Nobel a Grazia Deledda, austera regina di una corte fantastica [in:] “La Nuova”, Nuoro 07 gennaio 2022.