ALBINO PIERRO (Tursi 19.11.1916 – Roma 23.3.1995). Poeta lucano, che nella sua opera “’A terra d’u ricorde” scrive: «Quella di Tursi, il mio paese in provincia di Matera, era una delle tante parlate destinate a scomparire, per cui ho dovuto cercare il modo di fissare sulla carta i suoni della mia gente».

Figlio terzogenito di Giuseppe Salvatore, grosso proprietario terriero, e di Margherita Ottomano, maestra elementare, Albino trascorre l’infanzia sempre rinchiuso in casa della sua famiglia, denominata in dialetto “Pahàzze” ovvero “Palazzo”, sita nel rione “Rabatana”, costantemente triste a causa della morte prematura di sua madre e di una malattia agli occhi che sovente lo costringe a vivere intere giornate al buio, da solo nella propria camera. Essendo morta sua madre qualche tempo dopo la sua nascita, viene allevato da due sorelle nubili di suo padre, le zie Assunta e Giuditta, più volte ricordate nelle sue poesie.

Già da adolescente incomincia a viaggiare in Italia, per cui, dopo aver visitato Taranto, Salerno, Sulmona, Udine e Novara, nel 1939 raggiunge suo fratello Maurizio a Lanuvio dove questi è maestro elementare.

A Roma, poi, sua ultima meta, si iscrive all’Università e cinque anni più tardi, si laurea in pedagogia discutendo una tesi su Sant’Agostino.

Nel 1942 sposa Elvira Nardone. Da questa unione nasce, l’anno successivo, sua figlia Maria Rita, che diverrà la musa ispiratrice dei suoi scritti e alla quale dedicherà diverse poesie.

Quindi, nel 1946, inizia a pubblicare scritti in lingua italiana, fino a quando, nel 1959, con la sua prima opera letteraria dal titolo “’A terra d’u ricorde” comincia la sua produzione in dialetto lucano, o meglio ‘tursitano’.

Nel 1976 vince il “Premio Carducci” per la poesia. Nei tre anni successivi è candidato al Premio Nobel per la Letteratura, classificandosi ogni volta al secondo posto. Il giornalista Rocco Brancati scriverà “Ritratto di poeta: Albino Pierro. Intrigo a Stoccolma”, pubblicato a Napoli dalla RCE nell’anno 1999, un interessante libro che tratta, appunto, delle vicende legate alla mancata assegnazione del Nobel al poeta.

Persona dalle grandi capacità organizzative e abile nel relazionarsi con gli altri, nonché uomo di vasta cultura, nel 1982 fa un importante intervento presso l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma, che viene pubblicato in quel medesimo anno, negli Atti del Convegno svoltosi a Tursi. Poi, alcune sue poesie, scritte in dialetto lucano, vengono tradotte in lingua svedese e sono, anche queste, subito pubblicate sotto l’egida di quello stesso Istituto. Nel 1985 viene invitato dall’Università di Stoccolma per una lettura di poesie.

Mario Nati, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma “Carlo Maurilio Lerici”, infatti, racconta nel suo libro “Professori in feluca” pubblicato a Napoli nel 1994, che lo svedese Ingvar Björkeson, traduttore della “Divina Commedia”, delle opere del Petrarca e del Foscolo, nonché fine interprete della poesia italiana, pubblica attraverso la famosa Casa Editrice Fripress, una raccolta di poesie di Albino Pierro da lui tradotte in lingua svedese, versi che poi sono declamati dal grande attore del Teatro Dramaten, Ernst-Hugo Järegård.

Albino Pierro sembra voler diffondere l’idioma della sua terra natia con una tale determinazione e con un tale entusiasmo come a voler imporlo al mondo intero; riscuotendo, comunque, l’apprezzamento di diversi critici e letterati del suo tempo. Costoro riscontrano nella fonica di questo suo dialetto certe suggestioni caratteristiche delle lingue romanze; ma il suo fine, invece, è un altro: egli, attraverso tale dialetto, intende rievocare, il mondo della sua gioventù e mettere in evidenza il dolore presente che prova per trovarsi lontano dalla sua terra.

Come testimonia anche Magnus Florin, drammaturgo svedese, Pierro, nel corso degli anni ’80, in Svezia, riscuote un grande successo di critica, però in quegli stessi anni insorge una polemica con il poeta, scatenata da parte del suo connazionale Mario Luzi schierato contro di lui sulle principali testate in Italia, con la conseguenza che il dibattito si viene ad estendere, poi, anche in seno a buona parte della stampa svedese: questo comporterà, come effetto, che l’Accademia di Svezia non gli assegnerà mai il Premio Nobel.

Alla fine degli anni ’80, ormai settantenne, smette di lavorare e rientra in Italia per stabilirsi a Firenze vicino alla sua famiglia di origine. Qui può finalmente dedicarsi alla scrittura in prosa, l’altra sua grande passione coltivata fin dai tempi degli studi universitari. Infatti scrive diverse opere, tra cui “Il giardino”, ovvero una serie di racconti di fine secolo concepiti e scritti in Scandinavia, più precisamente a Copenaghen e a Stoccolma, libro che verrà pubblicato postumo dalla Casa Editrice IlMioLibro, nel 2013.

Nel 1992, l’Università di Potenza, Capoluogo della sua regione, la Basilicata, le assegna una laurea “Honoris Causa” e l’anno successivo tiene un incontro poetico presso “La Normale” di Pisa.

Esiste un documentario del 1994, di appena un anno prima della sua scomparsa, che raccoglie le testimonianze in tal proposito di Mario Nati, ex Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma e di Enrico Tiozzo, docente di Letteratura Italiana presso l’Università di Göteborg; tale documentario offre una testimonianza inedita di recitazione filmata delle poesie di Albino Pierro, declamate da lui in persona.

Ma, data la sua costante insoddisfazione, la sua permanente ansia di riconoscimenti, le sue continue precarie condizioni di salute, gli impediscono di pubblicare gran parte della sua imponente produzione manoscritta; quindi finisce col trascorrere tristemente gli ultimi anni della sua vita, in un modesto appartamento nel quartiere romano di Monteverde.

Muore a Roma il 23 marzo del 1995 e, ad un anno esatto dalla sua scomparsa, il Consiglio Comunale del suo paese natale, proclama Tursi “Città di Pierro” e intitola a suo nome l’Istituto più importante del Comune, ovvero la Scuola che congloba in sé la Materna, l’Elementare e la Media. Il Comune di Tursi, dal canto suo, eredita il Palazzo di proprietà del poeta con tutta la biblioteca contenente migliaia di libri, divenuto oggi sede del Centro Culturale detto “Parco Letterario”.

Scrittori, come Gianfranco Contini e Gianfranco Folena, gli dedicano importanti studi critici. Le sue opere, infine, vengono pubblicate, oltre che in svedese, anche in inglese, francese, persiano, portoghese, spagnolo, rumeno, arabo, greco e olandese. Carlo Levi definisce la poesia di Pierro come “una grande lamentela di morte”.

Nel 2010 il Comune di Potenza gli intitola una piazza con un vasto parco e a Tursi il 16 dicembre di questo stesso anno, ‘Parchi Letterari’ presenta il Convegno di Studio “Stoccolma omaggia Albino Pierro” in cui viene proiettato il documentario “Albino Pierro: Inchiesta su un poeta” di Maria Luisa Fiorenza. Questo documentario raccoglie le testimonianze in proposito di Mario Nati, ex direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma ed Enrico Tiozzo, docente di Letteratura italiana a Göteborg, oltre ad una testimonianza inedita di recitazione filmata delle poesie di Albino Pierro, interpretate e lette da lui in persona nel 1994, un anno prima della sua scomparsa.

Il 16 febbraio 2011, infine, a Stoccolma, presso l’Istituto Italiano di Cultura, Magnus Florin, drammaturgo del Teatro Dramaten, presenta l’”Opera di Albino Pierro”; a seguire, la performance con immagini, musica e poesia, nelle lingue svedese e italiana, nonché in dialetto lucano, dal titolo “Albino Pierro. Immagini di un poeta”, da un’idea e per la regia di Maria Luisa Fiorenza.

Ecco, ora, qui di seguito, alcuni aneddoti descritti dal poeta stesso nelle sue opere in italiano e in dialetto:

«Mia madre, morì poco dopo la mia nascita. La mia nutrice non aveva quasi latte. E mi davano alle donne del paese, madri fresche, per una poppata. Ancora oggi, quando torno a Tursi, incontro vecchiette che mi ricordano il debito: “Don Albine, io vi ho dato il latte” […]». (Tratto da “‘A terra d’u ricorde”).

«[…] Ma ié le vògghie bbéne ‘a Ravatène / cc’amore ca c’è morta mamma méie: / le purtàrene ianca supr’ ‘a sègge / cchi mmi nd’i fasce com’a na Maronne / cc’u Bambinèlle mbrazze. / Chi le sàpete u tempe ch’è passète… / e nun tòrnete ancore a lu pahàzze», ossia «[…] Ma io voglio bene alla Rabatana / perché c’è morta la mamma mia: / la portarono bianca sopra la sedia / con me nelle fasce come una Madonna / col Bambinello in braccio. / Chi lo sa il tempo che è passato… / e non ritorna ancora al palazzo». (Tratto da “’A Ravatène”).

«Quanne i’ére zinne / àgghie stète arrasète int’i càmmre / e a scure ll’occhiecèlle / mi pungicàine russe cumigghiète / d’ardìgue. / Dicìne nd’u paìse / ca m’avìj’ ‘a cichè […]», cioè «Quando ero bambino / me ne stavo negli angoli delle stanze / e al buio gli occhietti / mi pungevano, rossi come coperti / di ortica. / Dicevano nel paese / che sarei diventato cieco […]». (Tratto da “Quanne i’ére zinne”).

«[..] Com’agghi’ ‘a fé, Maronna mèie, / com’agghi’ ‘a fé? / L’ agghie lassète u paise / ca mi davìte u rispire d’u céhe, / e mò, nda sta citète, / mi sbàttene nd’u musse schitt’i mure, / m’abbrucuuìne i cose e tanta grire / com’a na virminère [..]», ovvero «[…] Come debbo fare. Madonna mia, / come debbo fare? / Ho lasciato il paese / che mi dava il respiro del cielo, / ed ora, in questa città, / mi sbattono sul muso solo i muri, / mi infestano le cose e tante grida, / come un vermicaio […]». (Tratto da “Le porte scritte nfàcce”).

Fonti e Bibliografia:

Le Carte di Albino Pierro, inclusi i testi inediti, sono in deposito presso il Centro Archilet del Dipartimento di filologia dell’Università della Calabria, ad Arcavacata di Rende (Cosenza). Alcuni Studi Critici sono raccolti in Atti del Convegno su ‘La poesia di Albino Pierro’, Tursi 1982, a cura di M. Marti, Galatina 1985. Pasquale Stoppelli, Albino Pierro [in:] “Dizionario Biografico degli Italiani”, Treccani, Roma 2015

Alberto Macchi
Foto di Davide Lonigro – http://d101101.altervista.org/about.htm, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5025404