Giulia Olivieri, nata a Matera nel 1997, inizia a studiare pianoforte con la madre dall’età di 4 anni, e fin dall’inizio  si impegna in concerti, concorsi e master, fino al conseguimento del diploma a 18 anni, col massimo dei voti e la lode. Inizia subito ad insegnare, dapprima al liceo musicale e poi in conservatorio, ad Avellino e a Potenza.

Premetto che chi ti fa l’intervista ha un rapporto davvero pessimo con tutti gli   strumenti musicali.
Per giustificare un mio eventuale tono un po’ “invidioso” sappi che alle scuole medie non mi hanno dato neppure il flauto, da tanto che ero negata, e anche con il triangolo ho avuto le mie tribolazioni.
Tu, invece, massimo dei voti e cattedra così giovane, sei praticamente un genio, una bambina prodigio!

Penso di doverlo in parte al fatto di avere iniziato da molto piccola.
Per la mia età, capita spesso un divertente equivoco quando entro in classe, ci vuole sempre un po’ di tempo per far capire che sono un’insegnante e non una studentessa. Mi ritengo molto fortunata a poter fare qualcosa che mi piace, specialmente considerando che la musica è spesso vista più come un hobby che come un vero lavoro.

Quali sono i tuoi compositori e interpreti preferiti? (ammesso che io ne conosca qualcuno)?

Non ho un vero e proprio compositore preferito, mi piace ascoltare tutta la musica classica. Amo molto Bach, Mozart oltre a Chopin, Liszt, Mendelssohn, Rachmaninov… Mi piacciono molto anche compositori italiani più recenti, come Nino Rota, a cui mi sento vicina, o Alfredo Casella e Guido Alberto Fano. In questi giorni sto apprezzando molto César Franck, un compositore belga di cui quest’anno ricorre il bicentenario di nascita.  con mia madre stiamo preparando un programma   per pianoforte a quattro mani a lui dedicato che avremo il piacere di eseguire in Belgio e nella mia città Matera nel prossimo autunno.

Come hai vissuto, da concertista, la situazione pandemia?

L’anno scorso sono stata premiata tra i vincitori dell’Italo Americano Music Contest-Piano Edition, un concorso organizzato da Patrick Abbate, con Piero Di Egidio presidente onorario di giuria, concorso che per l’occasione si è tenuto online. Ovviamente l’esperienza di un concerto dal vivo è insostituibile, ma sono molto contenta di aver constatato che gli eventi a distanza funzionano e possono avere anche i loro vantaggi. Nell’anno del Covid ho tenuto molti concerti online, in mete che di persona probabilmente non avrei neanche potuto raggiungere, o per lo meno non con la stessa facilità: da Denver, a San Salvador a Helsinki in sere consecutive, è stato entusiasmante. Il 2021 segnava anche 700 anni dalla morte di Dante, ed è stata l’occasione per me per portare la musica e la cultura italiana nel mondo (Stoccolma compresa n.d.r.), in particolare la Dante Sonata di Liszt, composizione dedicata all’Inferno dantesco. Ho conosciuto molte persone e mi sono resa conto di quanto l’Italia sia amata.

Ti sei mai dedicata ad altri strumenti? Magari a tastiera, come specializzazione naturale, organo, elettronici?

Al liceo musicale accompagnavo le lezioni della mia collega di danza contemporanea. In quel caso mi sono divertita ad usare strumenti elettronici. Una cosa che ho coltivato da sempre è il canto. Non ho completato gli studi in conservatorio, ma il canto è una cosa che adoro. È anche utile nello studio del pianoforte, cantare i brani che suono mi aiuta a capirli e suonarli meglio.

Com’è suonare Bach al pianoforte? Quando componeva lui c’era il clavicembalo, che non consente variazioni di espressione.

Sì, è vero, bisogna cercare di rispettare le intenzioni del compositore lasciando sempre un piccolo “spiraglio” all’espressività dell’interprete. Ciò accade per qualsiasi brano si suoni, anche il pianoforte di Beethoven non era meccanicamente uguale a quello che usiamo oggi, e un forte eseguito ai tempi di Chopin non possiamo immaginarcelo imponente come i forte consentiti dalle tecnologie costruttive di oggi. “Credo che ci si debba attenere alle indicazioni degli spartiti originali, ma lo spazio all’interpretazione darà un tocco personalizzante.”

Sui compositori moderni esegui tutto o ti poni dei limiti? Che ne pensi di Stravinskij o di Schoenberg?

Mi piace conoscere musicisti nuovi. Compositori sperimentali come Schoenberg, però, sono veramente molto lontani dal mio repertorio e non mi dedico ad eseguirli, comunque li ascolto volentieri.

La musica è praticamente un universo infinito e sarebbe impossibile coprirla tutta. Tu fai un repertorio classico, ma cosa ti incuriosisce quando vuoi uscire dalla tua area? Altre epoche, altri generi (jazz), altre culture?

Il jazz mi piace e anche la musica etnica o ad esempio la musica russa. Cerco di variare i miei ascolti il più possibile, è molto utile per capire meglio anche la musica che mi è più vicina, alla fine la musica è una, in tutte le sue forme che si influenzano a vicenda.

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

Il mio sogno penso di aver già cominciato a realizzarlo. Vorrei poter vivere sempre di musica, e per ora sta funzionando, conciliando l’attività dell’insegnamento con quella più prettamente artistica dei concerti.

C’è una domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto che ti facessi?

Sì, la domanda è, se non avessi avuto la musica in casa, avrei ugualmente trovato il modo di andarla a cercare e dedicarmici? Penso che la risposta sia un sì, la musica me la sento dentro e non riesco ad immaginarmi senza di essa.

E noi speriamo che presto Giulia possa onorarci nuovamente della sua bravura, qui in Svezia: sarà sicuramente una gioia ascoltarla.

Intervista a cura di Marilinda
Foto: concessione dell’intervistata