Abbandonare il nido. Cambiare città. Trasferirsi all’estero. Fare nuove esperienze. Far nascere e crescere una nuova famiglia. Imparare nuove lingue e nuove culture.

Tutte queste sfide nel corso degli anni mi hanno decisamente trasformato. Sono lentamente diventato un’altra persona. Ora i peli della barba sono bianchi, la flessibilità muscolare della schiena è pari a quella dei grissini Roberto, ho stabilito nuovi record mondiali di apnea in spiaggia per mascherare i rotolini di grasso addominali e infine l’altro ieri Matusalemme mi ha superato correndo più velocemente di me. Questo ovviamente non è colpa della Svezia, ma del timer della bomba a orologeria che si è attivato dopo aver compiuto i quarant’anni.

La Svezia, però, è responsabile di altri cambiamenti legati più ai miei comportamenti quotidiani. Che siano modifiche in positivo o in negativo non sta a me dirlo e non è dato saperlo neanche con un accurato test per il Covid o con un quiz della personalità su Donna Moderna.

La metamorfosi è iniziata a livello delle abitudini. Se entro in casa, che sia un appartamento, una stuga in campagna, una casa sull’albero o la cuccia del cane, le scarpe si rimuovono automaticamente senza che io sia consapevole del gesto. Se esco fuori di casa mi spalmo appena posso contro le pareti dei palazzi esposti al sole, anche se questo mi costringe a scalare la grondaia come Spider-Man fino al terzo piano. Se piove non me ne accorgo più, metto un cappello in testa sotto il sole e sotto la tempesta, come Sampei. Non penso più che -5 gradi sia da considerare freddo, nonostante non riesca a parlare perché mi battono i denti. Indipendentemente dalla temperatura esterna, appena sboccia la primavera ne approfitto per mettere il giaccone in sgabuzzino e indosso pantaloncini e maglietta a maniche corte. Quando parlo con gli altri, mento spudoratamente sulla mia tolleranza al freddo perché la mia home page sul computer è il sito delle previsioni del tempo e lo schermo del cellulare in corrispondenza della app col meteo è consumato.

Siamo quello che mangiamo, si suole dire. Infatti la diversa alimentazione ha modificato il mio corpo e la mia mente. Quando sono assieme ad altre persone non prendo mai l’ultima fetta di torta rimasta e al massimo la divido a metà. Ovviamente se non mi vede nessuno, eccome se l’arraffo l’ultima fetta. A dire il vero mi sono arruolato all’esercito svedese contro la lotta allo zucchero e mangio in generale molti meno dolci. Salvo disertare quando rubo i godis – le caramelle svedesi – ai miei figli. Faccio un’altra eccezione quando aspetto con ansia il giovedì, giorno dedicato ai pannkakor… a patto di mettersi la coscienza a posto mangiando prima la zuppa di piselli. L’effetto di tutta questa austerità alimentare si nota nell’assenza di smorfie e boccacce ogni volta che bevo l’amarissimo bryggkaffe – il caffè lungo svedese – rigorosamente senza zucchero. Col tempo ho anche abbandonato alcuni aspetti culinari delle mie origini italiane e ho accettato di usare la pancetta invece del guanciale, di bere il cappuccino dopo il coprifuoco di mezzogiorno e di spezzare gli spaghetti prima di farli bollire assieme alla mia cittadinanza italiana. Non ho però ancora riconosciuto il ketchup sulla pasta come piatto ammissibile per il palato e per gli occhi. Ne va della mia dignità: va bene essere criminali, ma non psicopatici.

Il mio modo di comunicare e di rapportarmi agli altri esseri umani ha anche subito variazioni. Saluto sempre dicendo “Hej” quando entro in un negozio o un bar, indipendentemente che mi trovi in Svezia, Udine o in un altro paese estero, destando spesso disagio negli altri e in me stesso. Aspiro l’aria come se avessi una cannuccia invisibile per annuire durante una conversazione. Ogni tanto i vicini di casa mi stanno antipatici quanto gli antibiotici e aspetto che abbiano lasciato il corridoio prima di uscire di casa per non rischiare di incontrarli. Nei casi più estremi prendo le scale – addirittura in salita se proprio necessario – piuttosto che fare il viaggio in ascensore assieme a loro oppure fantastico su come sia bello vivere isolati nella campagna svedese a più di 100 chilometri dall’abitazione più vicina. Non rido più sotto i baffi quando sento o leggo la parola “fika”. Incredibile.

Infine firmo ogni e-mail o sms mettendo inspiegabilmente la barra obliqua prima del mio nome. Così:

/Roberto Riva