Quest’anno si vota anche in Svezia. Avrei potuto votare in anticipo ma ho rimandato ogni giorno finché mi son dimenticato, nonostante la città fosse imbrattata da cartelli elettorali (che spesso chiedono di pensare all’ambiente) e nonostante ricevessi banane e succhi di frutta in regalo assieme ai volantini dai volontari che ti aspettano fuori dalla metro come mamme premurose. Nulla è però perduto perché posso ancora votare al valdagen, il giorno delle elezioni, anche detto giorno della balena per gli amici.

È domenica 11 settembre. Mi sveglio con calma, faccio colazione e bevo il caffè. Non ricordo se prima vado in bagno o prima a votare. In Italia un’attività avrebbe stimolato l’altra, ma qui in Svezia per fortuna la cosa è ancora irrilevante. Così esco di casa. L’aria è frizzante e il sole è pallido e mi gusto la passeggiata verso il mio seggio elettorale. D’altronde in Svezia si vota una volta ogni quattro anni per tutto – governo, regioni e comuni – contemporaneamente, con un notevole risparmio di tempo e denaro pubblico (sarebbe bello se in Italia si prendesse appunti su questo) ed è quindi un evento poco frequente. Me lo voglio godere.

Arrivo al liceo adibito a seggio, mi cresce un brufolo e mi avvolge una nostalgia da ritorno ai banchi di scuola. Mi passa subito quando vedo i volontari dei vari partiti politici che mi aspettano all’ingresso con i loro fogliettini elettorali (i cosiddetti valsedlar). Cosa sono? Sono dei piccoli fogli di circa 10×14 cm, tanto leggeri da sembrare essere fatti di carta velina, uno per partito politico e uno per i diversi voti – governo, regione e comune –, con i nomi dei candidati eleggibili. Dopo aver scelto il partito che si vuole votare, si inseriscono i foglietti nelle buste elettorali che spariranno poi nel minestrone delle urne. Un metodo che io trovo un po’ buffo e bizzarro ma simpatico, soprattutto per noi italiani abituati ai lenzuoli elettorali spessi quanto la pasta frolla.

Quindi avrei potuto ritirare i foglietti di uno specifico partito all’ingresso della scuola e mostrare a tutti quello che avrei votato (viva il voto segreto). No, non ci sto. Così entro nel seggio, scelgo i foglietti elettorali che voglio io dietro uno schermo ed entro nella mia sezione con i foglietti in mano. Se non facessi attenzione tutti potrebbero vedere per chi ho votato (viva il voto segreto, parte II), ma io li tengo a faccia in giù, mi nascondo dietro un altro schermo e infilo i foglietti nelle bustine. Butto l’occhio a sinistra e senza volerlo, senza sforzo, riesco a vedere cosa ha votato la mia vicina (viva il voto segreto, parte III). Se non ci fosse stato il foglietto del mio partito avrei potuto prendere un foglietto bianco, scriverci il nome del partito e, facoltativamente, anche quello di un candidato e magari aggiungerci “Ti metti con me? Sì – No”, da lanciare alla bella ragazza seduta nell’ultimo banco. Per fortuna io non ne ho avuto bisogno: sono sposato.

Dopo aver votato, dunque, consegno le mie bustine al commissario del seggio che controlla il mio documento d’identità e urla il mio personnummer. Manca solo che aggiunga con un ghigno “Ti avrei dato qualche anno in più…” oppure che gridi per chi ho votato (viva il voto segreto, parte IV). In compenso nessuno mi scatta una foto mentre infilo il mio voto nell’urna con un sorriso da paralisi facciale come i candidati al governo.

Poi esco. Torno a casa. Nonostante sia orgoglioso di aver adempiuto a un mio diritto e dovere di cittadino svedese, lungo la strada mi assale un filo d’ansia: avrò fatto la scelta giusta? Avrò fatto bene ad anteporre le mie ideologie a qualche interesse personale (o era il contrario, non ricordo… maledetta sindrome da memoria corta dell’elettore medio)? Per fortuna la Svezia ha un apparato politico abbastanza funzionante a prescindere da chi verrà eletto e questo un po’ mi rassicura. Poi però, a casa, l’occhio mi cade sul plico elettorale inviatomi dall’ambasciata italiana per le prossime elezioni di fine settembre e mi viene il mal di pancia.

Roberto Riva