Sto passeggiando sul Västerbron, uno dei ponti più belli di Stoccolma, dal quale si può ammirare la città vecchia, il palazzo comunale e il quartiere Södermalm da un lato e il verde dei boschi del lago Mälaren dall’altro lato.

«Che cos’è l’infinito?»

È mio figlio di sei anni che mi fa distogliere lo sguardo dal panorama tirandomi per la maglietta. Domanda non facile ma la sua vocina è così dolce e curiosa per non provare a dare una risposta. Ci fermiamo un attimo nel punto più alto del ponte e lo invito a rivolgere lo sguardo a est.

Seguiamo un refolo di vento e in un attimo raggiungiamo le mille isolette dell’arcipelago di Stoccolma. Ci soffermiamo ad annusare l’odore della pece dei tanti pini silvestri e del legno umido di una sauna al bordo di un pontile. Ci crogioliamo al sole delle migliaia di prati verdi o degli scogli bagnati dall’acqua.

Andiamo oltre, in mare aperto dove l’orizzonte è blu per chilometri e chilometri. Ci lasciamo accarezzare dal vento che soffia aria di libertà. L’oceano si estende davanti ai nostri occhi e si fonde con l’azzurro del cielo.

Spicchiamo il volo con la testa tra le nuvole, sempre più in alto, sempre più lontano. Sfiliamo tra cirri, altocumuli, stratocumuli, nembostrati e tutti i possibili anagrammi e combinazioni di nuvole. Ci liberiamo verso la stratosfera, la mesosfera e via nell’esosfera.

Lo spazio sconfinato ci accoglie nella sua indifferenza per qualsiasi forma di vita lasciandoci a bocca aperta. Oltrepassiamo la Luna e ci proiettiamo verso gli altri pianeti del Sistema Solare, fiancheggiamo il sole e poi via lontano verso altri miliardi di stelle scintillanti e affascinanti corpi celesti. Il buio, il vuoto e il silenzio ci inglobano verso mete lontane mai raggiunte dall’occhio e dalla conoscenza umana. Siamo ormai nello spazio inesplorato dell’universo, dove solo l’astrofisica si è spinta con teorie e speculazioni scientifiche.

Solo in quel momento mi giro a osservare lo sguardo di mio figlio. È stupefatto, incredulo e pieno di meraviglia. Sorrido assieme a lui. In un battito di ciglia siamo di nuovo sul Västerbron, il ponte ad arco d’acciaio più lungo della Svezia.

«Ecco cos’è l’infinito.»
Mio figlio mi guarda dritto negli occhi. Sembra stia ancora processando tutte le informazioni e le sensazioni che ha sperimentato. Prima accenna un sorriso, poi aggrotta la fronte.

«Non ho capito, papà!»

Alzo gli occhi al cielo, ma non per contemplare di nuovo l’universo. Mi sa che devo fermarmi prima del viaggio intergalattico, prima degli strati del cielo, prima dell’acque del mare e delle terre lontane. Devo fermarmi in città, più di preciso a est del ponte, a Gamla Stan.

«Caro figliolo, l’infinito è… è… lo stato dei lavori nel cantiere di Slussen. Ecco cos’è l’infinito!»

Lui annuisce e sorride. Non ha mai visto il vecchio Slussen e si chiede se un giorno vedrà quello nuovo. Credo che ora abbia capito cosa significa infinito.

 

Roberto Riva
Bild Av Holger.Ellgaard – Eget arbete, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29954488