Italiani in Svezia nei secoli: Giacomo Bove

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GIACOMO BOVE (Maranzana 23.4.1852 – Verona 9.8.1887). Esploratore. Nasce a Maranzana, in Piemonte nel Monferrato Astigiano, da Francesco Bove e Antonia Garbarino, proprietari di diversi vigneti. Giacomo è primogenito di quattro fratelli: Maria, Isabella, Giuseppe e Rosa.

Inizia gli studi nella sua città natale e continua le scuole nella vicina Acqui Terme. Infine si diploma presso l’Accademia Navale di Genova come Alfiere di Iª Classe. In veste di Guardiamarina ha subito l’opportunità di partecipare, col ruolo di cartografo, ad una spedizione scientifica in estremo oriente attraverso le acque dell’India, del Borneo, delle Filippine, della Cina e del Giappone sotto il comando del Capitano di Fregata Enrico Accinni sulla Pirocorvetta “Governolo”.

Tornato in Italia sosta, per una breve vacanza, nella sua città natale, ma presto raggiunge la base della Compagnia di Navigazione di La Spezia e, da qui, viene inviato in Arsenale a Napoli.

Nel 1876 è nominato Sottotenente di Vascello e, nell’aprile dell’anno successivo, imbarcato sulla nave “Washington”, gli viene affidato il compito di studiare le correnti marine nello Stretto di Messina. Durante questa esperienza può disporre d’un moderno Sestante, tascabile.

All’età di ventiquattro anni, parte per la Svezia dove vive tra la Capitale Stoccolma, i porti di Karlskrona, principale stazione della Marineria Svedese e di Göteborg secondo centro abitato in Svezia, le città di Motala importante centro industriale, di Dannemora con le sue vaste miniere di ferro e di Påboda con i suoi immensi alti forni, nonché in quel territorio dove può ammirare l’imponente Canale di Gotha con il meraviglioso Lago di Wettern.

A settembre di quello stesso anno viene scelto per partecipare, in qualità di idrografo, alla spedizione del Brigantino “Vega” una vecchia baleniera a vele con motore a vapore, rinforzata per affrontare i ghiacci. L’operazione è finanziata dal Re Oscar II di Svezia e di Norvegia, sotto la guida dell’esploratore Adolf Erik Nordenskiöld di famiglia svedese, nativo di Helsinki Capitale della Finlandia Granducato dell’Impero Russo. In quell’occasione Bove, nel periodo che va dal 1878 al 1880, circumnaviga l’Asia, compiendo, così, la prima traversata del Passaggio a Nord-Est. Questa spedizione sarà un’apertura a favore del commercio, oltre che della scienza. infatti porterà alla risoluzione del problema di passaggio e comunicazione tra l’Europa a nord-ovest e le terre del Pacifico ad est.

Giacomo Bove, quindi, in Svezia, è già al lavoro per affrontare questa nuova difficile avventura. Infatti sta studiando per accrescere la sua conoscenza dei luoghi che deve raggiungere e, nel contempo, sta migliorando il suo inglese e il suo francese; ma soprattutto sta imparando la lingua svedese.

La spedizione parte il 24 giugno del 1878 da Karlskrona, città svedese situata nella parte meridionale del paese, affacciata sul Mar Baltico, Capoluogo della Contea di Blekinge. Da qui, con la nave “Vega”, inizia a costeggiare la Norvegia in direzione nord.

Ad un certo momento egli decide di far sosta a Tromsö il centro più importante della Lapponia, sul Mar Glaciale, oltre in Circolo Polare Artico; ma – prima di raggiungere quella città – scopre un gruppo di isole che non sono riportate sulle carte nautiche, allora decide di chiamarle “Arcipelago Vega” dal nome della sua nave, dando origine, così, ad una nuova mappa.

Il 21 luglio lascia Tromsö e tra il 30 e il 31, come da accordi presi in precedenza, viene raggiunto da altre due navi: i vapori “Express” e “Fraser”.

Navigando in queste zone artiche sconosciute, lungo le coste della Siberia incontra i Samoiedi, popoli russi, allevatori di renne, definiti “mangiatori di sé stessi”. Riparte il 1º agosto da Port Dikson nel territorio di Krasnojarsk sulla Penisola del Tajmyr; il 9 agosto, invece, le navi “Fraser” e “Express” iniziano a risalire il Fiume Jenissei, per caricare grano all’interno della Siberia e rientrare in Norvegia prima dell’arrivo dell’autunno. Il 10 agosto, la “Vega” e la “Lena” spintesi ancora più a nord-ovest, hanno già doppiato Capo Čeljuskin la punta settentrionale estrema della Russia. Quindi fanno una sosta presso lo Stretto di Tajmyr. Il 17 agosto, dopo aver effettuato una serie di esplorazioni da quelle parti, il Capitano Bove decide di lasciare, ben in vista, ai piedi di una colonna nei pressi del porto, una carta firmata A. E. Nordenskiöld, scritta in svedese, in inglese e in russo, la quale dice testualmente:

«La Spedizione Artica Svedese composta delle due navi “Vega” e “Lena”, partita da Porto Dikson il 10 agosto 1878, ha ancorato in questa baia, dalla quale partirà alla volta di Capo Celiuskin non appena le nebbie si siano dissipate. Si prega di mandare la presente lettera a S. M. il Re di Svezia e Norvegia. Da bordo della “Vega” lì 17 agosto 1878»

Il 29 settembre le due imbarcazioni sono ancora in navigazione, ma risulta impossibile superare l’ostacolo dei ghiacci. Per poter svernare, allora, utilizzando blocchi di ghiaccio, bisogna costruire un riparo dentro il quale gli scienziati possano agevolmente compiere osservazioni magnetiche, idrografiche, zoologiche, botaniche e meteorologiche. Intanto l’equipaggio cerca di mantenere pacifici i rapporti con i Ciukci, popolo di pescatori nomadi di quei territori, nel mentre ch’egli raccoglie notizie sui loro costumi e sulle risorse di quell’area. Ancorati ad un ghiacciaio, alla fine riescono a svernare presso Pitlekai fino al luglio del 1879.

Ripartono il 20 luglio, dopo 294 giorni di sosta forzata e finalmente possono attraversare lo Stretto di Bering: con le bandiere di gala issate salutano il passaggio sparando cinque colpi di cannone. Fanno alcune escursioni in Alaska e nell’Isola di San Lorenzo poi, il 2 settembre, raggiungono Yokohama, situata nella Regione Kantō di Honshū in Giappone e qui ricevono, per la loro impresa, un’ottima accoglienza e grandi festeggiamenti. Dopo un giusto riposo, con entrambe le navi, ripartono diretti ad occidente. Percorrono tutto l’Oceano Indiano e, successivamente, attraverso il Canale di Suez, nel febbraio del 1880, raggiungono Napoli, con la “Vega” che, da sola, però, prosegue per Stoccolma. Dalla partenza in Svezia all’arrivo in Italia hanno percorso complessivamente 41.094 km, oltre l’intera circonferenza della Terra.

Nell’aprile del 1880, Bove partecipa ancora ad una spedizione con missione scientifica, in Patagonia, nell’Isola degli Stati e nella Terra del Fuoco insieme al Geologo Domenico Lovisato, allo Zoologo Decio Vinciguerra, al Botanico Carlo Spegazzini e all’Idrografo Giovanni Roncagli.

Il 2 luglio 1883, all’età di trentuno anni, sposa a Genova Luisa Joken Bruzzone, una raffinata e intraprendente donna originaria della Slovenia di trentasei anni – quindi di cinque anni più grande di lui – da pochissimo tempo vedova del Capitano di Fanteria Ceco, Giuseppe Mario Javorka di Borosjegno, ex Maggiore nel Corpo Volontario Ungherese, che aveva sposato il 13 giugno 1881 – appena due anni prima – a Savona nella Chiesa di San Pietro.

Il 7 novembre 1882 Bove riapproda in Italia dove una volta arrivato a Genova è nominato Membro d’Onore della Società Geografica Italiana.

Nel 1883 va a Buenos Aires e vi torna ancora l’anno successivo con sua moglie Luisa, per raggiungere, ancora, la Terra del Fuoco. Un anno dopo è di nuovo in Italia dove, da qui, riparte alla volta del Congo. Però, quando fa ritorno dalla spedizione in Africa, è gravemente malato; per cui decide di dimettersi dall’incarico di Ufficiale della Marina. Viene allora nominato, ancora a Genova, Direttore Tecnico della Società di Navigazione “La Veloce” appena fondata.

Giacomo Bove, il 9 agosto del 1887, sulla sponda del Fiume Adige, a Verona, nei pressi di Porto San Pancrazio, a soli 35 anni, si suicida sparandosi un colpo di pistola alla testa. Oggi è sepolto nella cappella di famiglia nel Cimitero di Maranzana. Luisa Bove, sua moglie, invece, morirà a Savona il 27 febbraio 1937 all’età di 90 anni; sarà tumulata nella Cappella Pasquario presso il Cimitero di Valleggia, oggi Jagodje, nella regione del Litorale-Carso, in Slovenia.

Quindi, così tragicamente, il grande navigatore piemontese, esasperato ormai da mesi per le insopportabili malattie contratte in Africa conclude la sua vita.

Il suo psichiatra Andrea Verga, a cui egli s’è rivolto per curarsi, riporta nel suo resoconto clinico indirizzato al Comitato Centrale per le Esplorazioni Antartiche:

Capitano Giacomo Bove di Maranzana d’Aqui. Il valoroso compagno di Nordenskiöld nella fortunata spedizione polare della Vega, esplorando nel 1886 il Congo, vi contrasse cefalee, febbri intermittenti, scosse elettriche agli arti, […] Sposò la sua Luisa Joken ma non si sentiva bene. Corse ad Andorno, ove le manovre idropatiche lo irritarono e il bagno turco gli tolse affatto il sonno. Il 6 luglio 1887 era da me. La moglie diceva che in otto mesi si era tutto cambiato e avea perduto dieci chili di peso; non faceva che consultar medici e prender medicine (arsenico, noce vomica, acqua di Cerved). Morselli dicendolo nevrastenico gli aveva paralizzata la spina. […] Raccontò la storia della sua malattia con ordine e chiarezza. Non una parola che tradisse lo sconcerto della mente, l’offuscamento della coscienza, l’alterazione degli affetti. La maggior parte dei suoi patimenti si riferivano piuttosto alla spina che al cervello. Qui soltanto un senso di peso e di pressione, svogliatezza e forse una lieve diminuzione di memoria. Andava a Levico. Io gli dissi trattarsi di semplice melancolia a base di ipocondria e che sarebbe guarito purché avesse dato tempo al tempo. […] Sentendo che la sua terribile nevrosi avrebbe fatto di lui un invalido, si colpì alla testa con un revolver e lasciò scritto che l’armaiolo consegnandogli l’arma aveva detto che essa era capace di ammazzare un “bove” [alludendo al suo cognome]. […].

Da notare che dopo la sua morte:

– la sua bara destinata al Cimitero di Genova dov’egli era Direttore della Società Italiana di Navigazione “La Veloce”, viene rifiutata.

– sulla tomba ad Acqui Terme il sindaco di questa città nega il permesso di apporre una lapide.

La damnatio memoriae, insomma, è caduta inesorabile, come una scure, su di lui.

Però c’è da dire che successivamente:

– gli viene dedicato un sentiero nel Parco Nazionale della Val Grande.

– al suo paese natale viene allestita una casa-museo in suo nome.

– sempre a Maranzana viene affissa una lapide in suo onore.

– l’amico Edmondo De Amicis lo ricorda sulle pagine della “Gazzetta del Popolo”.

– Emilio Salgari scrive su di lui tre articoli nel giornale “Arena”.

Alberto Macchi
Foto di Sconosciuto – http://www.lancora.com/monografie/avvenimenti/bove_giacomo_day07.html, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2450190