Celo.

Celo.

Aspetta, aspetta… sì, celo.

Celo.

Nooo! Manca.

Qui ci metterei una bella imprecazione, ma mi autocensuro.

Anche se sembra, questo non è lo scambio di figurine Panini doppie tra bambini di dieci anni. Questo è il dialogo interno nel mio cervello quando scorro sul cellulare in cerca della app giusta per parcheggiare in questo posto sperduto in mezzo al nulla. Ho il sole in faccia e devo aumentare la luminosità dello schermo per vederci meglio. La batteria si sta scaricando e questo m’innervosisce perché sarà l’unico strumento per controllare la durata del parcheggio.

Va sempre così, posso essere preparato e ben equipaggiato sul mio cellulare, ma troverò sempre un parcheggio da qualche parte a Stoccolma che richiede una app che io non ho scaricato. Sempre. Va da sé ovviamente che ogni posto a Stoccolma richieda un pagamento per parcheggiare la macchina, anche a chilometri di distanza dal centro, in mezzo a un parco naturale.

Com’è possibile che non abbia l’app giusta? Eppure ce n’erano tante tra cui scegliere: Easypark, Parkster, MobilPark, ePARK, Flowbird, Mobil Perkering… ma quante sono? Tantissime, incalcolabili. Leggenda narra infatti che ora, nell’istante nel quale state leggendo questa frase, un team di ingegneri informatici nella Silicon Valley stiano progettando e sviluppando tre nuove app per parcheggi sempre più complesse per far innervosire gli utenti. Non faccio fatica a crederci: sono infinite. Tutte richiedono un log-in e l’inserimento di dati per il pagamento. Tutte con sovrapprezzo sul reale costo del parcheggio, ovviamente. Tutte a parte una: Betala P di Stockholms Stad… che non funziona molto bene, almeno non per me, ovviamente.

Una volta però scaricate le app principali e fatto il giro di tutti i musei e i parchi preferiti, il problema sarebbe risolto se non fosse che i comuni si affidano tutti ad aziende diverse per il parcheggio e cambiano le app continuamente, anche da una settimana all’altra.

Quindi ora sono sotto il sole cocente e aspetto che l’app venga scaricata, mentre i miei figli cominciano a diventare impazienti per andare al parco. Sudo copiosamente mentre inserisco i dati della mia carta di credito al riparo da occhi indiscreti (sono pur sempre italiano e non mi fido neanche di mia moglie). Alzo gli occhi al cielo, non per imprecare ma per ricontrollare il cartello della sosta. Dopo aver interpretato il geroglifico inciso sul cartello stradale e dopo aver chiesto conferma a mia moglie e a tre passanti, mi accorgo di essermi sbagliato: oggi non serve pagare. Tiro un sospiro di sollievo. Per fortuna basta esporre il disco orario.

Allungo la mano dentro il cruscotto del sedile passeggero. Cerco frettolosamente a tastoni.

Il libretto di circolazione: celo.

Il libretto di istruzioni: celo.

Il disco orario: nooo, manca.

Era meglio quando si giocava ancora con le figurine panini.

Roberto Riva
Foto di Michi S da Pixabay