Leggendo il titolo sembra che parleremo di un classico racconto poliziesco inglese. Ma non ci sono, in questa storia, né miss Marple né Sherlock Holmes.
Siamo in Svezia, a Stoccolma ed Oakhill è la sede della magnifica ambasciata italiana dove avvenne il più famoso delitto di Natale della storia criminale svedese.
Cominciamo dall’inizio.
Allo scoppiare della seconda guerra mondiale, arriva nel 1940 a Stoccolma, insieme alla moglie ed ai figli, un italiano. Si chiama Giuseppe Capocci ed è così mentalmente instabile che trascorre molto tempo in Svezia in vari ospedali psichiatrici, l’ultimo dei quali è il Långbro Sjukhuset.
La sua ossessione è quella che vede i suoi problemi fare parte di un complotto organizzato da persone dell’Ambasciata italiana a Stoccolma e che lo porta a doversi vendicare eliminandone i responsabili.
Per il 24 dicembre 1947 riceve l’autorizzazione dalla direzione dell’ospedale a trascorrere una giornata in famiglia per festeggiare il Natale ed a quel punto comincia a pensare, anche se in maniera confusa, alla sua vendetta.
Dopo il pranzo di Natale nasconde in tasca una mezza forbice e dice alla moglie che vuole fare una passeggiata da solo. Nonostante la sua opposizione (della moglie Ndr.) esce da casa a Södermalm, prende il tram a Skeppsbrunn, scende a Djurgården per continuare a piedi verso l’Ambasciata ad Oakhill. La moglie, che aveva intuito le sue intenzioni, lo raggiunge e lo costringe a farsi accompagnare nella passeggiata.
Nel frattempo nell’Ambasciata dipendenti ed amici erano raccolti nei saloni per iniziare i festeggiamenti per il Natale. Capocci bussa al portone. Chiede di parlare con l’ambasciatore Alberto Belardi Ricci che nel frattempo aveva ricevuto dal suo segretario un biglietto di Capocci con una storia sconclusionata sul fascismo e su Mussolini. L’ambasciatore di buon umore a causa dell’atmosfera natalizia autorizza a farlo entrare insieme alla moglie, li riceve nel salone d’ingresso insieme ad un amico medico che, dal tenore del testo del biglietto, aveva qualche sospetto sulla sanità mentale della persona che lo aveva scritto e li invita perfino ad unirsi agli altri presenti alla festa.
A questo punto Capocci prende la forbice che aveva in tasca e gridando ”Churchill! Sigaro!” si avventa sull’ambasciatore e comincia a colpirlo molte volte al ventre. Alla fine si conteranno sei ferite. Alle sue urla l’amico, la moglie e le persone che erano nelle sale si lanciano su Capocci per fermarlo e disarmarlo. L’Ambasciatore è ferito gravemente e muore nel tragitto per l’ospedale.
La storia sembra chiara, ma il capo della Divisione Tecnica Criminale di Stoccolma, Harry Söderman, sospetta che Capocci non potesse aver fatto tutto da solo e che vi fosse un piano per eliminare l’Ambasciatore ordito da qualcuno presente alla festa che aveva aiutato Capocci ad entrare.
Come nei migliori romanzi polizieschi di Hercule Poirot, Söderman fa trattenere tutti gli ospiti all’interno dell’Ambasciata per interrogarli separatamente mischiando per ognuno il loro proprio racconto con il suo pensiero di come si fossero svolti i fatti in modo da scoprire il colpevole.
Naturalmente scoppia il caos con le immancabili vibrate proteste dei presenti, ma il risultato di un paio d’ore d’interrogatori è che nessuno appare sospettabile. Capocci ha fatto tutto da solo e viene arrestato, processato, condannato in Svezia ed estradato in Italia; viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico dove muore nel 1953.
Così si conclude il tragico evento dell’assassinio ad Oakhill.
Massimo Apolloni
Foto: Archivio FAIS