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Referendum, Schlein-Conte-Avs incalzano Meloni ma i moderati protestano

Roma, 9 giu. (askanews) – L’obiettivo, quello vero, in qualche modo è stato raggiunto, anche se qualche parlamentare Pd non nasconde che si sperava in un quorum più alto, tra il 35% e il 40%. Che i quesiti passassero non era nemmeno tra le aspettative dei più ottimisti, ma la partecipazione è stata un po al di sotto delle attese degli ultimi giorni. D’altro canto, i vertici di Pd-M5s-Avs cercano di rispettare il copione che si erano prefissati, quello che prevedeva l’invio di un doppio messaggio politico – uno a Giorgia Meloni e uno, più subliminale, ai ‘moderati’ del centrosinistra. Certo, dalla minoranza Pd e dai centristi si leva più di un mugugno, ma nessuno intende offrire il fianco.

Il primo messaggio dei leader Pd-M5s-Avs è appunto per la premier che, sottolineano tutti, è arrivata a palazzo Chigi con meno voti di quanti ne ha ottenuti il sì ai referendum di ieri e oggi. “Per questi referendum – attacca la Schlein – hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022. Quando più gente di quella che ti ha votato ti chiede di cambiare una legge dovresti riflettere invece che deriderla”.

Simili le parole degli altri leader, a cominciare da Giuseppe Conte: ” Certo, avremmo voluto che si raggiungesse il quorum per i tanti lavoratori in difficoltà che avrebbero potuto riappropriarsi di alcune tutele e difese. Ma se vi sembrano numeri insignificanti, considerate che è lo stesso numero di votanti (anzi alla fine potrebbero essere anche di più) con cui la maggioranza Meloni è arrivata al Governo e oggi decide di tagliare la sanità mentre aumenta sconsideratamente la spesa in armi”.

Nessuno, spiegano ambienti contiani, ha mai pensato di dare una spallata al governo. La battaglia referendaria, contiunuano i 5 stelle, è stata in coerenza con quelle fatte dal Movimento in passato contro la precarietà sul lavoro, ad esempio col decreto dignità.

Poi c’è il ‘messaggio nella bottiglia’ inviato a riformisti Pd, Azione, Iv, che già provano a mettere in discussione la linea seguita: “Una discussione ora va fatta, è del tutto”, spiega un parlamentare della minoranza. E Giorgio Gori aggiunge: “Un autogol prevedibile, che andava evitato. Un regalo a Giorgia Meloni di cui non si sentiva il bisogno”. Simile Pina Picierno: “Purtroppo un regalo enorme a Giorgia Meloni e alle destre. Fuori dalla nostra bolla c’è un Paese che vuole futuro e non rese di conti sul passato. Ora maturità, serietà e ascolto, evitando acrobazie assolutorie sui numeri”, cioè i ragionamenti sui 14 milioni di votanti.

“Certo – dicono Bonelli e Fratoianni – quei 13 milioni non sono nemmeno ‘nostri’, ma di un’Italia che chiede ascolto, che pretende impegno. Ed è con questa parte del Paese che vogliamo costruire l’alternativa”. Da M5s precisano di non voler commentare tensioni interne ad altri partiti ma precisano che chi parla di fallimento del progetto unitario a tre non – insistono dai 5 stelle – fa i conti col fatto che alle elezioni la Meloni non ha il quorum a difenderla e la manifestazione di sabato conferma che un percorso è avviato.

Insomma, ai moderati che protestano si replica spiegando che i referendum dimostrano comunque che la linea più “radicale” paga, i 12 milioni di sì sono la prova che alla destra bisogna contrapporre una proposta nettamente e chiaramente alternativa. La Schlein insiste: “Andremo avanti a batterci per migliorare le condizioni materiali delle persone che questo governo ha completamente rimosso. Continueremo nell’impegno a fianco di quei milioni di elettori che sono andati a votare sperando di ridurre la precarietà e rendere l’Italia più giusta, ci motivano ancora di più nel costruire l’alternativa”.