- Ci sono incontri che il tempo non cancella, ma trasforma. Ricordo, tra le amicizie del tempo, quando vivevo a Roma, un giovane studente brillante e molto affascinante, con lo sguardo curioso e il sogno già nitido della diplomazia nel cuore. Oggi, con grande piacere, ritrovo quell’entusiasmo nei gesti e nelle parole dell’Ambasciatore Michele Pala, che ha trasformato quella passione in una straordinaria carriera al servizio dell’Italia nel mondo. È un grandissimo piacere e un onore averlo per questa intervista, in cui parleremo di diplomazia, esperienze e, perché no, anche di qualche ricordo condiviso.
- So che sei nato casualmente a Catania, mi sono informata, che ti sei laureato a Roma, e per la tua carriera sei stato a Pretoria, Montevideo, Washington e San Paolo. C’è altro?
- Per riassumere la mia vita in poche parole, no, questi sono i punti essenziali. Diciamo che quello che a me piace comunque sottolineare è il fatto che le origini sono in Sardegna, ecco, quindi il fatto di essere nato a Catania, con tutto il rispetto della meravigliosa terra di Sicilia e di una bellissima città come Catania, non esprime il vincolo di sangue che invece ho con la Sardegna, perché vengo dall’altra isola, diciamo.
- Chiaramente…
- Sempre isolano sono…
- Come hai accolto la notizia del tuo incarico qui in Svezia?
- È la mia prima esperienza come ambasciatore, e anche la prima volta in una sede europea. Si tratta di un paese importante, con cui non solo condividiamo il percorso comune all’interno del più grande progetto di integrazione al mondo, l’Unione Europea, ma dal 2024 siamo anche alleati. Questo rappresenta, di fatto, il massimo livello possibile nei rapporti tra i nostri due paesi. Per questo affronto questo incarico con grande soddisfazione, ma anche con un forte senso di responsabilità: ricevere una simile fiducia è per me motivo di orgoglio, ma anche segno della sfida significativa che mi attende.
- Quali sono le principali priorità della missione diplomatica italiana qui in Svezia?
- II rapporti tra Italia e Svezia sono estremamente articolati e spaziano in moltissimi ambiti. Naturalmente, partiamo dai settori classici, come quello economico-commerciale, oggi più che mai fondamentali. In un momento storico in cui i mercati europei rappresentano un’opportunità irrinunciabile, la possibilità di commerciare senza barriere — o comunque con molte meno rispetto ai paesi extra-UE — è un vantaggio strategico che non possiamo trascurare.
- Ma i legami vanno ben oltre l’economia. C’è un ottimo momento nei rapporti politici tra i due paesi: ci sono state visite istituzionali di alto livello, come quella del Primo Ministro Kristersson a Roma, e una crescente sintonia tra i governi. Da quando siamo diventati alleati, anche grazie all’ingresso della Svezia nella NATO, si è aperta una nuova fase di cooperazione, che tocca anche il settore della difesa. Non solo cooperazione militare, ma anche prospettive molto interessanti per le nostre industrie della difesa, un tema centrale oggi in Europa.
- Un altro aspetto fondamentale è l’assistenza alla nostra collettività. La comunità italiana in Svezia è in continua crescita: parliamo di oltre 21.000 italiani iscritti all’AIRE, ma sappiamo che i numeri reali sono anche maggiori. Garantire loro servizi efficienti e di qualità è una priorità.
- A tutto questo si aggiungono settori emergenti e promettenti, come quello della cooperazione scientifica e tecnologica. Attraverso l’addetto scientifico abbiamo avviato diverse iniziative, e uno dei fronti più interessanti è senza dubbio lo spazio: la collaborazione tra Italia e Svezia in campo spaziale sta dando risultati molto promettenti, con missioni già realizzate e progetti in fase di sviluppo.
- Insomma, lo sguardo è rivolto al futuro: da un lato rafforziamo i settori tradizionali, dall’altro promuoviamo un’immagine dell’Italia più ricca e articolata, che va oltre gli stereotipi e si propone come un paese innovativo, dinamico e pienamente inserito nelle sfide globali di oggi.
- “Pizza e mandolino”
- Esatto! L’Italia – il Bel Paese, meta turistica per eccellenza, terra di cultura, buon cibo, design e moda – è già ben conosciuta e amatissima dagli svedesi. Su questo fronte non dobbiamo fare grandi sforzi, anche se naturalmente si può sempre migliorare.
- Quello che ci sta particolarmente a cuore, però, è far scoprire anche un’Italia meno nota: quella delle eccellenze nell’innovazione, nella ricerca, nella tecnologia. Vogliamo creare ponti tra il potenziale innovativo svedese e le tante competenze italiane che meritano di essere valorizzate, andando oltre l’immagine più immediata e superficiale che spesso si ha del nostro Paese.
- Hai già anticipato e risposto a due domande, fantastico!
- C’è stato un momento particolarmente significativo nelle relazioni recenti con la Svezia?
- Oltre all’ingresso della Svezia nella NATO – che rappresenta un cambiamento significativo ma va oltre il solo ambito bilaterale – direi che un momento particolarmente rilevante è stata la visita del Primo Ministro Kristersson a Roma, lo scorso febbraio. Un incontro che ha segnato un passaggio importante: quando i capi di governo si vedono di persona e sviluppano un’intesa, come in questo caso, nasce una relazione di stima e collaborazione che favorisce tutto il resto del processo, facilitando i contatti istituzionali a ogni livello.
- È un segnale forte: due paesi geograficamente distanti come Italia e Svezia – che oggi condividono sia l’appartenenza all’Unione Europea che quella alla NATO – possono offrire, attraverso il confronto tra visioni diverse, come quella nordico-baltica e quella mediterranea, un contributo prezioso alla comune famiglia di appartenenza.
- E questo è fondamentale, perché ci ricorda che l’impatto delle nostre azioni va ben oltre i limiti delle nostre dimensioni nazionali: insieme, possiamo davvero fare la differenza.
- Un po’ di pettegolezzo: hai conosciuto i reali svedesi, hai qualche chicca per il giornale?
- Devo dire di no, e sai perché? Ci sono due aspetti che colpiscono subito chi arriva in Svezia. Il primo è che spesso ci si dimentica che la Svezia è un regno. Fuori dal paese, in molti non lo sanno, perché l’immagine che si ha della Svezia è quella di una nazione all’avanguardia, modernissima sotto tanti punti di vista, soprattutto sul piano sociale. Nell’immaginario collettivo, questo spesso si concilia poco con l’idea di una forma di governo antica come la monarchia.
- Vivendo qui, però, ci si rende conto di quanto la monarchia sia profondamente sentita e amata dal popolo svedese. È un elemento identitario forte. In qualche modo, rappresenta bene l’anima del paese: una società avanzata, ma al tempo stesso molto legata alle proprie tradizioni. E questo equilibrio si riflette proprio nell’attaccamento alla monarchia.
- Il secondo aspetto curioso è che, pur essendo una monarchia, la famiglia reale svedese è molto più discreta rispetto ad altre monarchie europee. È rarissimo vedere gossip o eccessiva esposizione mediatica: tutto è molto sobrio, molto misurato. Quindi, ecco, niente aneddoti da tabloid o pettegolezzi da raccontare.
- Insomma la chicca sull’incontro coi reali non c’e…
- Non ho una “chicca reale”, purtroppo! Ma posso dire che ho avuto l’opportunità di incontrare la principessa ereditaria, in occasione dell’inaugurazione della scultura di Giuseppe Penone nel parco di Djurgården, lo scorso anno. È stata scelta un’opera di un grande artista italiano contemporaneo per essere collocata in modo permanente sull’isola, grazie alla fondazione intitolata alla figlia della principessa.
- Quello che mi ha colpito, durante quell’incontro, è stata la sua eleganza naturale: una persona con grande senso della regalità, ma allo stesso tempo molto vicina alle persone, disponibile, cordiale. L’ho vista interagire con semplicità e calore con tutti i presenti, non solo con me come ambasciatore. Un atteggiamento che dice molto sullo stile della monarchia svedese.
- Sì, in effetti i reali svedesi sono molto alla mano: proprio la principessa, prima che ci fosse l’attentato, la si vedeva girare in bicicletta per Stoccolma.
- Come supportate le aziende e le imprese italiane che cercano un’opportunità qui?
- Ci sono diversi strumenti a disposizione per chi vuole affacciarsi al mercato svedese. Qui a Stoccolma, all’interno del cosiddetto Sistema Italia, oltre all’Ufficio commerciale dell’Ambasciata, è presente anche un ufficio dell’ICE – oggi ITA, l’Agenzia per l’internazionalizzazione delle imprese italiane – che offre una vasta gamma di servizi per le aziende interessate a entrare in questo mercato.
- A questi si aggiunge anche la Camera di Commercio italo-svedese, che è un’entità locale e rappresenta un altro punto di riferimento importante per il mondo imprenditoriale. Le imprese italiane possono quindi contare su una rete di supporto ben strutturata.
- Da parte nostra, sosteniamo spesso missioni esplorative di aziende italiane in Svezia. È già accaduto più volte, e tra l’altro a metà maggio ospiteremo per la prima volta in Svezia SMAU, una delle principali piattaforme dedicate all’innovazione e alle start-up, attiva da molti anni. Porteranno con sé realtà grandi e piccole, tutte accomunate da una forte spinta verso l’innovazione – non a caso hanno scelto proprio la Svezia come tappa.
- Ci saranno importanti eventi in quei giorni e anche l’Ambasciata sarà coinvolta. È un esempio concreto di come possiamo sostenere le aziende italiane non solo nella promozione, ma anche nell’orientamento e nella comprensione delle dinamiche del mercato locale.
- Cos’è cambiato negli ultimi 20 o 30 anni, cioè da quando hai cominciato, nella diplomazia italiana?
- Oggi si parla di diplomazia praticamente in ogni ambito. Quando ho iniziato la carriera diplomatica, il concetto di “diplomazia pubblica” era appena agli inizi. Oggi, invece, questa dimensione è sempre più centrale: significa aprirsi, raccontarsi, far conoscere non solo quello che facciamo come istituzioni, ma anche ciò che rappresenta il nostro Paese nella sua interezza.
- Non si tratta più solo di curare i rapporti politici o commerciali, ma di promuovere l’Italia in tutte le sue sfaccettature. Parliamo, ad esempio, anche di diplomazia culturale, scientifica e persino sportiva. La prossima settimana, ad esempio, ospiteremo un evento dedicato alla presentazione delle Olimpiadi di Milano-Cortina: un perfetto esempio di come lo sport possa diventare uno strumento di promozione e dialogo internazionale.
- Lo sport è uno straordinario veicolo di conoscenza reciproca e rappresenta un ottimo strumento per rafforzare i rapporti tra Paesi. È una forma di competizione, sì, ma basata su regole condivise e su uno spirito di lealtà. Proprio per questo può favorire il dialogo e l’avvicinamento tra culture in modo molto efficace.
- Ma naturalmente non si tratta solo di sport. Oggi la diplomazia si apre sempre di più a una molteplicità di ambiti. È finita l’epoca delle ambasciate come luoghi chiusi, inaccessibili, in cui si svolgevano analisi riservate o si gestivano rapporti poco trasparenti. Oggi il lavoro del diplomatico si basa sul dialogo aperto e continuo con l’intera società del Paese ospitante.
- È fondamentale costruire relazioni a tutto tondo: con il mondo scientifico, con quello culturale, con il sistema accademico e con la ricerca. I canali attraverso cui si può promuovere l’Italia e contribuire al rafforzamento dei rapporti bilaterali sono davvero tanti, e tutti meritano attenzione.
- A volte mancano le risorse per seguirli tutti come si vorrebbe, ma ogni occasione va colta, perché anche i percorsi meno visibili possono portare a risultati importanti.
- Adesso cominciamo a fare un po’ di pettegolezzo su di te. Come si svolge una giornata tipo di un ambasciatore?
- In realtà, non esiste una vera e propria “giornata tipo”. Tuttavia, ci sono alcune costanti. La prima, fondamentale, è restare aggiornati: sapere cosa succede nel mondo, ma soprattutto in Svezia. Quindi la giornata inizia spesso leggendo i giornali, consultando le rassegne stampa e, sempre più spesso, dando un’occhiata anche ai social media e alle fonti online. Non ci si può permettere di essere impreparati – anche se qui il contesto è stabile rispetto ad altri Paesi più turbolenti, imprevisti e novità sono sempre dietro l’angolo.
- Dopodiché, la giornata si divide tra il lavoro interno e quello esterno. L’ambasciata è una macchina complessa, con un’organizzazione amministrativa che richiede attenzione costante: ci sono pratiche da seguire, decisioni da prendere, dinamiche interne da gestire.
- Ma c’è anche tutta la parte del relazionamento, che è altrettanto importante. Gli impegni esterni sono numerosi: incontri con autorità politiche, economiche, rappresentanti del mondo accademico, della cultura, delle imprese. Ogni giorno è diverso, e ogni incontro è un’occasione per rappresentare l’Italia e rafforzare i legami con il Paese ospitante.
- … e anche interviste!
- Capita anche di rilasciare interviste, ogni tanto, perché c’è sempre qualcuno curioso di conoscere meglio il nostro lavoro o la posizione dell’Italia su determinati temi. Partecipiamo a eventi, a seminari, e spesso veniamo invitati a intervenire per illustrare il punto di vista italiano su questioni di attualità o di interesse comune.
- C’è quindi un’intensa attività all’esterno, ma anche molti eventi che organizziamo direttamente qui in Ambasciata. Incontri di vario tipo, perché – come dicevamo – oggi la diplomazia tocca moltissimi ambiti: dalla scienza all’architettura, dal design alla promozione del made in Italy. Solo il mese scorso, ad esempio, abbiamo celebrato proprio il made in Italy con una serie di iniziative.
- Cerchiamo di costruire eventi mirati, occasioni di dialogo e visibilità, perché il lavoro di relazioni è davvero centrale. Ma allo stesso tempo, non va dimenticato che l’ambasciata è anche una struttura da gestire, una macchina complessa che richiede attenzione quotidiana per funzionare al meglio.
- Come si fa a diventare ambasciatore? Io mi ricordo una cosa di quando ti ho conosciuto, eravamo a Roma e parliamo ormai di… 35 anni fa, piu o meno! Eri ancora all’università, scienze politiche?
- No, giurisprudenza.
- Giusto, giurisprudenza. Mi ricordo che dicevi “mi piacerebbe tantissimo fare la carriera diplomatica, sarà difficilissimo, ma voglio provarci”. Come ci si arriva?
- Eh, bisogna superare un concorso.
- Non è così facile…
- No, superare il concorso non è affatto semplice, anche se detto così può sembrare. Quello per la carriera diplomatica, in particolare, è tra i più impegnativi – e, da quanto si sente, si sta anche pensando a una sua riforma. Non voglio togliere nulla ad altri percorsi selettivi, ma il nostro concorso è complesso perché copre una gamma molto ampia di materie.
- Io, ad esempio, mi sono laureato in giurisprudenza, quindi ero preparato su una delle materie, il diritto internazionale. Ma poi bisogna affrontare anche la storia delle relazioni internazionali, che normalmente non si studia in giurisprudenza, e l’economia, su cui magari si è fatto solo qualche esame di base, ma che va approfondita per superare una vera e propria prova scritta.
- Insomma, la laurea non basta: serve integrare la propria formazione con molto studio in più. E poi ci sono le lingue: oltre all’inglese, bisogna portare almeno un’altra lingua straniera a un livello elevato, perché non basta parlarla, bisogna essere in grado di scrivere un tema in quella lingua.
- Quindi no, non è un concorso da affrontare alla leggera. È selettivo e richiede una preparazione seria e approfondita. Ma una volta superato, è da lì che tutto comincia.
- Se puoi dirlo, qual è stato il tuo incarico più difficile e perché?
- Non direi che ci sia un incarico in particolare che considero “il più significativo”. Questo che ricopro ora è sicuramente il più prestigioso, perché sono ambasciatore, ma è anche la terza volta che dirigo un ufficio all’estero. Sono stato console generale a San Paolo, dove si assiste una collettività di quasi 250.000 italiani e c’è una presenza molto forte di imprese italiane. Prima ancora, sono stato console a Montevideo. Quindi non è la prima volta che mi trovo alla guida di una sede, ma tutto dipende sempre da come si vive il proprio ruolo.
- In ogni incarico ci sono momenti difficili, certo. Più che un incarico in sé, quello che lascia il segno sono spesso alcuni episodi, momenti che ti colpiscono nel profondo. Ricordo, ad esempio, un’esperienza in Uruguay: una nave da crociera, in viaggio verso l’Antartico, aveva a bordo alcuni passeggeri italiani. Uno di loro si sentì male e fu sbarcato d’urgenza – non ricordo esattamente su quale isola – per poi essere trasferito con la moglie in un ospedale in Uruguay.
- Purtroppo, quell’uomo non ce la fece. Morì in ospedale. E noi, come consolato, fummo vicini alla moglie in quei momenti. Ricordo con particolare chiarezza l’istante in cui il medico uscì dalla sala di rianimazione: lo sguardo della signora, lo sguardo del medico… sono quei momenti in cui il lato umano del nostro lavoro prende il sopravvento su tutto il resto.
- Quella signora non aveva nessun altro intorno in quel momento, c’ero io e quindi si aggrappò a me, e per qualche giorno, finché non sono arrivati i figli dall’Italia…
- … siamo stati lì e quella signora ancora anni dopo mi scrive.
- Molto commovente…
- Torno ad altre curiosità: la destinazione di un diplomatico viene scelta? Può essere scelta tra alcune, si può rifiutare?
- L’amministrazione centrale del Ministero cerca di non mandarti in un posto in cui non vorresti andare. Però, è anche vero che non è semplice ottenere esattamente la destinazione che si desidera, perché la carriera diplomatica è molto competitiva e spesso ci sono molti candidati per un singolo incarico.
- Di solito, quando ci si candida per una missione all’estero, si indicano più sedi di interesse, e poi l’amministrazione valuta come assegnare al meglio le persone in base alle esigenze. A volte vengono fatte delle proposte, ma se uno rifiuta rischia di dover aspettare più a lungo prima di ottenere un’altra destinazione.
- Ora sei appena arrivato qui, ma pensando al futuro, quale paese ti piacerebbe come prossima destinazione?
- Ho imparato a non farmi idee su posti dove voglio andare e poi, se uno si fissa, proprio perché dev’essere pronto ad andare in paesi di tipo molto diverso rischia delusioni. Bisogna essere aperti. La Svezia è una novità nella mia carriera, in quanto paese europeo, quindi per ora mi concentro a godermi questa esperienza.
- Non voglio creare incidenti diplomatici… Ti chiederei anche in quale paese non vorresti invece andare, ma per evitare incidenti, appunto, senza dirmi quale, ce n’è uno, o più, dove non vorresti andare? A parte gli Stati Uniti, suppongo, in questo periodo.
- No, perché no? Sono stato negli Stati Uniti, un paese estremamente interessante, a prescindere dall’amministrazione di turno.
- Quello che però succede con il passare degli anni è che si perde un po’ di dinamismo, e quindi incarichi in sedi particolarmente disagiate diventano più difficili da affrontare.
- Per questo, consiglio sempre ai colleghi più giovani di accettare fin da subito una sede “di frontiera”: farlo all’inizio della carriera è senz’altro più gestibile, anche dal punto di vista familiare.
- Risposta diplomatica! Visto che il giornale viene letto da italiani, anche da qualche svedese che parla italiano, per la verità, che messaggio desideri mandare agli italiani residenti all’estero o a chi guarda l’Italia da lontano, come noi?
- Sono due messaggi diversi. Il primo, rivolto agli italiani qui in Svezia, è un messaggio di riconoscimento. Quello che ho notato, anche rispetto ad altri paesi — senza fare nomi — è la grande considerazione che gli italiani in Svezia sono riusciti a conquistarsi, anche agli occhi degli svedesi.
- Mi riferisco sia alle generazioni più anziane, quelle che sono venute come operai o artigiani e si sono fatti apprezzare per la loro operosità. Oggi, forse, di quella presenza diretta si vedono meno tracce, perché molti si sono perfettamente integrati; ci sono italiani di seconda o terza generazione con cognomi italianissimi ma che ormai non parlano più la lingua.
Dall’altra parte, ci sono le generazioni più recenti: persone di altissimo livello, ricercatori, professionisti, professori universitari, che contribuiscono a creare un’immagine molto positiva dell’Italia. Questa si somma all’immagine che gli svedesi hanno dell’Italia — quella che deriva dal loro amore per il nostro paese, dai viaggi, dalla cultura — ma qui, con la presenza degli italiani, questa immagine si rafforza ulteriormente. È un riconoscimento a chi ha saputo farsi valere e mantenere alto il buon nome dell’Italia. - Il secondo messaggio, invece, è un invito a non dimenticare mai le proprie origini italiane: fare il possibile per tramandare la lingua e la cultura italiana alle nuove generazioni. Non è facile, certo, ma è possibile. Ci sono iniziative, corsi, progetti su cui lavorare.
- Mi rendo conto che la collettività organizzata non è più quella di una volta; le associazioni esistono ancora, ma non sono più così numerose o attive come prima. Per questo mi sento di lanciare un appello: sarebbe importante fare un po’ più comunità, rafforzare i legami, per mantenere viva la nostra identità.
- Molti di noi ci stanno provando…
- Senz’altro, in questo sono ammirevoli le persone che lo fanno. Però mi è capitato di andare in visita in molti posti, quindi anche in università, vai e poi incontri gli italiani e il fatto che viene l’ambasciatore fa incontrare tra di loro persone che magari vivono e lavorano in quell’istituzione da anni a due corridoi di distanza e non si sono mai incontrati.
- Vedo che altre comunità sono più organizzate da questo punto di vista.
- Quindi l’appello è questo, e l’Ambasciata è a disposizione, assieme al COMITES, assieme ai mezzi di informazione, se possiamo fare qualche cosa. Ma non perché vogliamo creare il club degli italiani, per carità…
- Assolutamente, ma dev’essere integrante, non disgregante, sono d’accordissimo.
- C’è un momento in questi anni all’estero in cui ti sei sentito particolarmente orgoglioso di essere italiano?
- Guarda, ti rispondo in modo forse diverso da quello che ti aspetti, ma chi sceglie questa professione è orgoglioso di essere italiano ogni volta che entra in un edificio dove sventola il tricolore. Per me, questo è il fondamento della scelta di questo mestiere: quell’orgoglio va coltivato ogni giorno, senza aspettare momenti particolari. Certo, ci sono alti e bassi, ma l’Italia è un grande paese, e al di là delle congiunture o delle fasi più o meno favorevoli, rimane sempre una nazione di grande valore.
Il significato di quel tricolore va ben oltre le vicende culturali o politiche del momento, e questo è qualcosa che dobbiamo tenere sempre a mente. È ciò che ci rende davvero orgogliosi: avere l’onore e la responsabilità di rappresentare una comunità, una storia, una tradizione uniche. E questo ci dà forza e motivazione ogni singolo giorno. - L’ultima domanda, che è quella che faccio sempre: c’è una domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto sentire?
- Forse quando hai chiesto riguardo alla professione, forse avresti potuto chiedere anche come si concilia una professione come questa con la famiglia.
- Questo pensavo di chiederlo a tua moglie! (mi piacerebbe intervistarla)
- Forse la differenza rispetto a chi come te ed altri si è trasferito in Svezia o in un altro paese è questa, che un conto è fare questo passaggio una volta, un conto è farlo continuamente. Mia moglie l’ha fatto una prima volta quando è venuta in Italia, perché per lei, brasiliana, si è dovuta adattare già allora. Ma poi ha dovuto continuare a cambiare costantemente.
- Lei è venuta tantissimo tempo fa, giusto?
- Sì, all’inizio della mia carriera ci siamo sposati e si è trasferita a Roma affrontando quel momento di adattamento che è inevitabile. Però, chi ha la prospettiva di restare a lungo in un paese dopo un grande cambiamento può concentrarsi a imparare la lingua, a rivalidare titoli professionali o accademici, e così costruirsi una nuova vita. Per i diplomatici e altri professionisti espatriati, che invece cambiano sede ogni tre o quattro anni, la situazione è diversa: non basta adattarsi una volta, bisogna ricominciare da capo più volte.
- Per il coniuge, ad esempio, è molto difficile ripartire ogni volta: anche se in molti paesi si parla inglese, per lavorare non sempre è semplice ottenere il riconoscimento dei titoli di studio, e per i diplomatici le opportunità per i coniugi sono molto limitate. Insomma, c’è un prezzo da pagare a livello familiare.
- Anche i figli ne beneficiano a lungo termine, ma soprattutto quando sono piccoli può essere difficile far capire loro che fra pochi mesi si riparte per un altro paese — loro non l’hanno scelto. Io rifarei tutto, ma oggi vedo molte coppie giovani in cui, più che in passato, la partner difficilmente rinuncia alla propria carriera per seguire il coniuge in un’avventura incerta. Le tutele per i coniugi che vanno all’estero non sono molte: se non possono lavorare, è dura ricostruirsi una vita professionale, e spesso significa una rinuncia.
- Se uno viene dall’Italia e sa che resterà in Svezia, può provare a costruire un futuro; ma se sa che ci starà solo tre anni, è complicato mettersi a studiare lo svedese, perché è molto impegnativo.
- Con questo ultimo, fondamentale accenno al valore della famiglia, lasciamo l’Ambasciatore ai suoi importanti incarichi, ringraziandolo sinceramente per la disponibilità e la calorosa accoglienza che ci ha riservato.
Intervista di Marilinda Landonio
Foto : (L’ambasciatore Michele Pala alla presentazione di SMAU) su gentile concessione dell’ambasciata Italiana in Svezia