Bruxelles, 4 giu. (askanews) – E’ stato consegnato al mediatore europeo (Ombudsman), oggi a Bruxelles, un esposto che denuncia la Commissione europea, accusata di cattiva amministrazione per aver sostanzialmente tenuto bloccata per 11 anni una procedura d’infrazione contro l’Italia sulla ex Ilva di Taranto.
La denuncia è stata presentata dall’europarlamentare pugliese Valentina Palmisano (M5S), e da Alessandro Marescotti e Luciano Manna, dell’organizzazione ambientalista tarantina Peacelink, che da anni continua a battersi contro l’acciaieria e le gravi conseguenze ambientali e sanitarie della sua attività, continuata “senza un permesso ambientale valido” grazie ai ripetuti decreti cosiddetti “salva-Ilva” del governo, nonostante due sentenze della Corte europea di Giustizia di Lussemburgo e due della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, nonché varie iniziative da parte della magistratura italiana.
Il reclamo riguarda in particolare la mancata azione da parte della Commissione europea nei riguardi dell’Italia per garantire l’attuazione della direttiva Ue sulle Emissioni industriali e di altre normative ambientali pertinenti, a fronte dell’inquinamento generato dall’acciaieria di Taranto. L’impianto, operativo dal 1965, ha una lunga storia di violazioni ambientali e di salute pubblica, che hanno causato gravi danni alla popolazione locale, con elevati tassi di morbilità e mortalità.
I denuncianti indicano tre principali inadempienze da parte della Commissione europea: 1) i ritardi significativi e ingiustificati nella gestione della procedura d’infrazione sull’Ilva; 2) la mancanza di una comunicazione adeguata e trasparente con i denuncianti stessi e con il pubblico in generale; 3) il mancato ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea contro l’Italia per la mancata attuazione della normativa ambientale dell’Ue.
Dall’avvio della procedura d’infrazione il 26 settembre del 2013, si legge nell’esposto, “la Commissione non ha adottato misure tempestive ed efficaci”. I denuncianti sostengono che “la Commissione ha accettato misure del governo italiano che costituivano di fatto un’elusione degli obblighi di legge, mentre persistevano effettivi rischi per l’inquinamento e la salute. Nonostante i numerosi sforzi amministrativi, come le lettere dei cittadini, le discussioni in commissione Petizioni del Parlamento europeo e le interrogazioni scritte da parte degli eurodeputati (51 in 12 anni, ndr), le risposte della Commissione sono state vaghe e prive di trasparenza”.
Inoltre, “la Commissione ha accumulato ritardi significativi nella procedura d’infrazione sull’Ilva, in corso senza azioni significative dal settembre 2013, per un periodo di quasi 12 anni. Nonostante l’emissione di un ‘parere motivato’ (seconda fase della procedura d’infrazione, che dovrebbe preludere al ricorso di Corte Ue, notificato il 16 ottobre 2014, ndr), il caso non è passato alla fase giudiziaria per oltre 11 anni, e ai ricorrenti non è stata fornita alcuna spiegazione concreta per questa inattività”.
E poi, invece di andare avanti, “il 7 maggio 2025 la Commissione ha compiuto un passo indietro procedurale inviando una terza lettera di messa in mora all’Italia”. La messa in mora, in effetti, è il primo stadio della procedura d’infrazione comunitaria, precedente al “parere motivato”.
La Commissione, si rileva ancora nell’esposto, “non è riuscita a comunicare in modo adeguato e trasparente né con i ricorrenti, né con il pubblico in generale. Si è costantemente basata su un linguaggio generico, vago e preconfezionato, come ad esempio affermando di ‘monitorare la situazione’ o di ‘analizzare le risposte del governo italiano’, senza fornire aggiornamenti concreti sulle azioni specifiche intraprese dall’Italia per affrontare le violazioni, e senza fornire alcuna giustificazione per il ritardo prolungato nel deferimento del caso alla Corte europea di Giustizia”.
Il mancato deferimento dell’Italia alla Corte Ue, nonostante anni di violazioni documentate, “costituisce un’omissione e una grave negligenza” da parte della Commissione, “sollevando preoccupazioni circa il suo impegno nell’applicazione del diritto ambientale dell’Unione. Mentre la Commissione ha trascorso gli ultimi 12 anni ad ‘analizzare la situazione’, ‘scambiare informazioni con le autorità italiane’ e “monitorare la situazione”, altri tribunali, tra cui la Corte europea dei diritti dell’uomo – si sottolinea nell’esposto – , hanno ritenuto l’Italia in violazione dei suoi obblighi ambientali relativi all’acciaieria Ilva. Nel frattempo, la crisi ambientale e di salute pubblica a Taranto ha continuato a peggiorare”.
I residenti nell’area, si ricorda nella denuncia, “presentano vulnerabilità sanitarie significativamente più elevate rispetto alle medie regionali. Tra queste, un eccesso di mortalità complessiva, in particolare per malattie circolatorie e digestive, e un’incidenza notevolmente più elevata di tumori. Le leucemie infantili, ad esempio, superano di quasi il 50% i livelli attesi. Altri impatti sulla salute segnalati includono vari tumori infantili, malattie respiratorie e cardiovascolari, malattie renali e condizioni neurologiche come l’autismo e il deterioramento cognitivo”. Questi effetti “sono associati all’esposizione a inquinanti come benzene, metalli pesanti e diossine”.
In un rapporto del 12 gennaio 2022, il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto a un ambiente sano, David R. Boyd, ha classificato Taranto come un’area estremamente contaminata, una “zona di sacrificio” in cui le persone sopportano un peso sproporzionato in termini di salute, diritti umani e conseguenze ambientali derivanti dall’esposizione all’inquinamento e a sostanze pericolose. L’acciaieria Ilva “ha compromesso la salute delle persone e violato i diritti umani per decenni scaricando enormi volumi di inquinamento atmosferico tossico. I residenti nelle vicinanze soffrono di livelli elevati di malattie respiratorie, malattie cardiache, cancro, disturbi neurologici debilitanti e mortalità prematura. Le attività di bonifica e ripristino ambientale, che avrebbero dovuto iniziare nel 2012, sono state rinviate al 2023, con l’introduzione da parte del governo di decreti legislativi speciali che consentono all’impianto di continuare a funzionare”, concludeva il relatore speciale dell’Onu.